Archivio per aprile 2007

il libro di daniele

Conosciamo bene il lavoro di Daniele su Ferrara, le fotografie stampate come solo lui sapeva (e aveva la pazienza di) fare, e dalle stampe fino al menabò del suo libro. Lui non l’ha potuto vedere stampato, non era nemmeno certo di riuscire a stamparlo. Noi abbiamo la fortuna invece di vederlo, questo libro, da quel che ho capito è proprio come Daniele se lo immaginava, come lo voleva. Il libro viene presentato il 17 maggio al suo “paesello”, San Pietro, che lo ricorda con una mostra che inaugura il 5 maggio 2007.

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Aggiornamento del giorno dopo: non posso non riportare un commento sulla mostra che fabio scrive a oscar (che ha potuto seguire solo da lontano). fabio ha saputo trovare le parole più vere e sorprendenti per parlare dello sguardo di daniele, lo ringrazio e lo riporto nei commenti a questo post.

25 aprile a Monte Sole

Ecco il programma.
Ecco alcune immagini dei luoghi di memoria a Monte Sole.
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memorie di scomparse

vi ricordo: questo blog è sulla memoria (non sulla commemorazione).
Oggi sfogliando Internazionale, ho visto delle immagini che mi hanno toccato. Sarà perchè volevo fare la fotografa, sarà perchè ho una sensibilità particolare per le sofferenze e i drammi dell’America Latina del Novecento. Le immagini riguardano i luoghi di memoria dei desaparecidos argentini, cancellati dai vari regimi militari che si sono succeduti negli anni Settanta e Ottanta, trasformando garage, caserme e scuole in luoghi di tortura e di sterminio. A Roma, all’interno del festival internazionale di fotografia, una mostra è dedicata al lavoro di Giorgio Palmera, se volete andare. Se non andate, pensateci sopra, comunque.
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Foto di Giorgio Palmera, rovine del Club Atletico

memorie di conversazioni dal basso/1 (ovvero i blog e la comunicazione)

Se i blog sono luoghi dei vissuti, vorrei confermare questa mia idea sfruttando il mio blog per esprimere il mio vissuto sul workshop di venerdì scorso.
Un’ipotesi su come interpretare l’idea “dal basso”: i blog (così come vari ambienti del cosiddetto web 2.0) sono luoghi dove la comunicazione può osservare i vissuti, e farsene irritare.
So bene che sembra che la comunicazione sia un entità con vita propria, detta così. Il problema è che un po’ lo è, veramente. Qualcuno parla di sistema emergente della comunicazione: è questa cosa qui, ossia la comunicazione come processo sociale che si autonomizza dai suoi dati di concretezza e particolarità (i soggetti, i loro vissuti, le loro storie, le loro memorie, idiosincrasie…). Il blog allora diventa un luogo della comunicazione (perchè nei blog i vissuti possono solo essere comunicati) dove il sistema della comunicazione – la rete, con la sua autonomia, la rete informata dal 2.0 – mantiene un contatto con i vissuti, con la concretezza delle storie vitali, con gli interessi e le emozioni della gente, e si fa “irritare”, ossia: ne tiene conto, come può, li usa per la sua riproduzione.
In questo senso i blog proprio in quanto luogo del vissuto (comunicato) sono utili alla comunicazione.

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Prima nota critica: mi ha un po’ disturbato sentir dire da Giuseppe Granieri che nella rete il criterio di qualità (delle informazioni, prevalentemente) è sostituito dal criterio di pertinenza – come ricordato oggi dal post di FG/GBA – e vi spiego perchè questa idea mi irrita parecchio. La pertinenza, detta così, suona un po’ come una cosa buona: è la qualità che non viene più definita dal sistema dei media di massa, è la qualità che si personalizza diventando espressione di un punto di vista dell’utente, che spesso è anche produttore di contenuti. Che furbata: il sistema si disinteressa della qualità, in quanto in generale si disinteressa dei contenuti, e delega non solo la produzione dei contenuti (gli economisti direbbero: esternalizza, fa outsourcing, ecc.), delega persino il criterio di valutazione di quegli stessi contenuti. Ognuno è libero di decidere cosa è di qualità, perchè al sistema della comunicazione, la qualità non interessa. La qualità resta un problema degli utenti (che la qualità, definita a partire dai propri interessi, la cercano ancora) e dei professionisti che credono ancora che la qualità sia un criterio del loro operare (vedi le preoccupazioni da giornalista di Massimo Russo, con cui ho avuto la fortuna di conversare). Al sistema della comunicazione (chiamatelo rete, web 2.0 o come caspita preferite) interessa che CI SIANO CONTENUTI E CONNESSIONI, è indifferente quale contenuto e quale connessione sia (entrambi, difatti, li fa produrre agli utenti, vedi gli algoritmi di Google…).
Sarà per questo che alla fine la semantica evocata non solo da GBA, o i temi, ricordati da Giulia, restano sempre al margine della riflessione? (CONTINUA…)

ps: ma che tristezza un post senza figure, provvederò al più presto
Fatto. Per chi non lo sapesse la foto è di Luigi Ghirri.

Aggiornamento del 12 maggio. Ecco il video dell’intervento di Massimo Russo.

le conversazioni dal (mio) basso

Premessa: i blog sono luoghi della comunicazione in cui si esprimono i vissuti (così la vedo io). Come dire, vi si può osservare di tutto e di più, il massimo della contraddizione (vissuti e comunicazione). Va anche detto, come premessa, che a me toccano di più i temi legati ai vissuti, e proprio perchè la comunicazione si interessa di e trasforma i vissuti, mi interessa parecchio anche la comunicazione, con le sue forme. Mi interessano quindi i blog, mi interessano doppiamente.
Per commentare l’intenso lavoro di ieri – grazie a tutti, veramente, anche ai fotografi 🙂 – mi servirebbero quindi almeno 2 post (la metà di quelli promessi da FG e un terzo di quelli già scritti da GBA 🙂 . Chi mi conosce sa che sono di poche parole (soprattutto quando sono molto stanca 🙂 ).
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ps: li scrivo, poi.

cose indimenticabili: 21 aprile 1945

Il 21 aprile 1945 poteva essere una giornata di sangue, invece la città si trovò improvvisamente a festeggiare lungo la via Emilia la fuga dei tedeschi e la Liberazione. I carri armati degli Alleati (polacchi) arrivarono sotto le due torri e percorsero via Rizzoli fino al cuore di Bologna. Un amico qualche anno fa mi mostrò un libro fotografico sulla Liberazione, con immagini scattate da un fotografo amatoriale, e in particolare un’immagine, segnata da una crocetta, in cui LUI guarda passare i carri armati. Una comune commozione per questi ricordi – vissuti o solo immaginati, per questioni meramente anagrafiche – ha segnato la nascita di profonde amicizie, continua ad alimentarle. Questa mattina, chi ha avuto la fortuna di trovarsi in Piazza Maggiore alle ore 10 ha potuto sentire la campana della torre dell’Arengo suonare a festa (così leggo sul giornale, mi sono svegliata troppo tardi a causa di troppe conversazioni dal basso o di lato di ieri).
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Il 25 aprile si ricorda l’eccidio di Marzabotto, con la terza edizione dei Percorsi Antifascisti di Monte Sole (il processo per l’eccidio è durato un anno e mezzo e si è recentemente concluso con la condanna di dieci membri delle SS tedesche).

(una precisazione del giorno dopo: insieme agli Alleati, polacchi e inglesi, i partigiani della Brigata Maiella, oggi cittadini onorari di Bologna)

conversazioni dal basso

domani siamo tutti qui (+ o -)

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potete seguire in diretta

souvenir da dimenticare

In un mercato delle pulci berlinese ho trovato un oggetto che mi ha colpito, e che mi sono portata a casa. Un souvenir come souvenir. Un souvenir del passato, un souvenir d’antiquariato.
Si tratta di un piccolo album verde, dalla copertina di moderna plastica, che raccoglie una serie di diapositive della Berlino Est degli anni Settanta, con i suoi luoghi topici. E’ un oggetto che ci permette di gettare uno sguardo sul passato, su come questa città si immaginava e si rappresentava. Così la torre della radio al centro della mitica Alex è rappresentata come Sehenswuerdigkeit (cosa che merita di essere vista, visitata) accanto al monumento dedicato a Lenin, in un quartiere residenziale non molto distante dal centro della città.

berlino_200.gifIl monumento a Lenin – Berlino anni ’70

La torre della radio domina ancora oggi Alexanderplatz e Berlino, ne è ancora un simbolo riconosciuto e riconoscibile, mentre la statua di Lenin ha preso metaforicamente il volo, è scomparsa dalla sua piazza (come si nota nell’immagine qui sotto) e resta, semmai, come luogo di memoria nei ricordi dei berlinesi dell’Est.
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Il Senato di Berlino, subito dopo la caduta del muro e la riunificazione della Germania, ha infatti deliberato lo smantellamento di numerosi simboli della Germania Orientale, decretandone l’oblio ufficiale. Qualche sporadica traccia di questi memoriali viene oggi venduta, come feticcio ostalgico, a curiosi, turisti o autentici nostalgici.

Memorabilia tecnologica

Solitamente si sente parlare della tecnologia (e delle sue molteplici applicazioni) in relazione al presente e al futuro, in quanto frontiera evoluta del mondo attuale.
In realtà la tecnologia, e la sua rapidissima evoluzione, pone anche nuovi problemi di memoria, più precisamente apre nuovi campi al ricordo e all’oblio. Per questo da qualche anno un studioso di storia della scienza e della tecnologia dell’Università di Stanford, Henry Lowood, si è posto il problema di conservare memoria dei videogiochi travolti dall’obsolescenza tecnologica, riconoscendo in questi oggetti tasselli importanti della cultura del tempo attuale. Leggevo ieri sul Manifesto che al recente congesso degli autori di videogiochi Lowood insieme a un comitato promotore ha presentato una lista di 10 giochi che hanno fatto storia e che meritano quindi di essere conservati. Il problema dell’oblio nel caso dei giochi digitali è aggravato dalla progressiva scomparsa sia dell’hardware che del software necessari al gioco. Un ipotetico museo del giocattolo elettronico dovrà quindi essere dotato anche delle macchine dell’epoca (problema analogo per il mondo della musica e degli strumenti elettronici). Vedremo se il progetto di Lowood di un archivio dei videogiochi sarà finanziato dalla Libreria del Congresso, che ha ricevuto la richiesta nell’autunno scorso.
Il progetto mi pare molto interessante, perchè non si tratta solo di giochi, ma di veri e propri modi di pensare, ragionare e di connettere il corpo, con i suoi gesti, e la mente, di cui in questi musei si potrà fare esperienza, da alieni.
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Robotron K 8911

sulla memoria del corpo

Riprendo qui un tema per me centrale (e quindi destinato a essere ricorrente nel blog), quello del rapporto tra corpo e mente in relazione alla memoria. In un commento al post sulle pillole per dimenticare, (pillole che credo svolgano una funzione di oblio per la mente, e non per il corpo), Milena citava l’idea di un secondo cervello (la pancia) come possibile sede della memoria del corpo. Il tema è tanto vasto e difficile che non può certo esaurirsi così, con un misero post, ma ci tengo a rispondere. L’idea di un secondo cervello non è da trascurare, ma vorrei aggiungere che le neuroscienze, che studiano il cervello e la mente, e quindi la complessa relazione tra processi cognitivi ed emotivi, tra corpo e mente, ci fanno sempre più pensare a un corpo diffusamente in connessione con la mente. Non solo la pancia, ma tutto il corpo è in connessione con la mente: ricordo ad esempio lo studio delle emozioni della biologa Candace B. Pert (della cui scoperta sono debitrice a Giuliano Piazzi), che staziona sulla mia libreria, e che – si legge nell’introduzione – ci fa sospettare l’esistenza di un “cervello mobile”, radicato in tutto il corpo. Sempre più difficile pensare di poter separare la mente (anche solo l’idea della mente) dal corpo, il che ci fa sospettare che la principale terra di conquista oggi non sia tanto la mente, quanto il corpo. E la sua memoria.
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Effetto Beaubourg: Baudrillard, Bifo e i blog

Siamo sempre negli anni Settanta, a Parigi sorge il Beaubourg e l’impertinente Baudrillard ci vede un contenitore senza contenuto, un contenitore che uccide il contenuto (la cultura) e la sostituisce con qualcosa d’altro. Il Beaubourg come contenitore di massa per le masse, che produce masse al posto del tradizionale contenuto (la cultura).
Parigi non è come internet, anche se un po’ tutti ci vanno e ci sono stati, ma l’associazione tra Beaubourg e blog mi è venuta molto spontaneamente. Soprattutto quando ho letto questa frase: “Inutile incendiarlo (il Beaubourg), inutile contestarlo, andateci! E’ il modo migliore per distruggerlo”. Ossia, l’unica cosa che si può sperare è che il Beaubourg imploda. Che imploda da solo, a forza di ramificazioni, connessioni, feed(back). L’implosione, per Baudrillard, come unico modo per distruggere il potere (di cui già nel mio post precedente).

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Lo stesso effetto che faceva a Baudrillard il Beaubourg, a me un po’ l’hanno sempre fatto i media di massa per le masse. Anche i blog. Non so se inconsciamente è per questo che ho pensato di aprire anch’io un blog. Aiutiamo questo sistema a crescere tanto da scoppiare. Alimentiamolo fino allo stremo. Gargantua e Pantagruele.
Rileggendo la frase di Baudrillard sul Beaubourg, ho pensato: cosa succederebbe se TUTTI aprissero un blog? le quotazioni di Google ecc. salirebbero alle stelle o crollerebbero? questo sarebbe un buon modo di capire come la pensa il sistema. Forse un eccesso di complessità di contenuti sarebbe l’inizio dell’implosione. Chissà.
Ma forse non è tanto questo il punto, e sono confortata dal contributo di Franco Berardi/Bifo, che GBA richiama in un recente post sui blog. Il punto non è nei media, ma sta prima, prima di ogni comunicazione. Dopo un’iniziale euforia, anche i media-attivisti più esperti hanno abbassato le loro speranze di far implodere il sistema. Mentre l’unica cosa che pare certa, è che a implodere siano stati i sistemi viventi, il loro equilibrio tra strutture emotive e cognitive, tra la loro produzione (dal basso) di informazione e la loro capacità di dare, a tutta questa varietà (dal basso) un senso emotivo. E pare che ci siano forme di comunicazione, relazione, … più adatte di altre a questa dissociazione (tra cognitivo ed emotivo, tra menti e corpi). Così lascia intendere Bifo.

la realtà liberata dalle cose

Per capire lo statuto attuale delle cose (anche degli oggetti, quindi: le cose materiali) mi pare ancora molto utile una vecchia idea di Baudrillard (1978, Intervista rilasciata alla rivista Tra), quella di iperrealtà: “l’iperrealtà è un concetto che mi ha interessato perchè è diverso da quello di reale, di realtà, senza per questo coincidere con l’immaginario. Per iper-realizzato intendo tutto ciò che fornisce i segni della realtà, che addirittura è più reale del reale, ma che da questo prende le distanze, nel senso che tutto ciò che vediamo è segno di una realtà che ha perso i suoi referenti… Non esistendo più gli oggetti si arriva a una perdita di rappresentazione, che si traduce in una iperrappresentazione. Questo in fondo è il concetto di iperrealismo, che si identifica con quello di simulazione. Iperrealtà e simulazione per me fanno parte dello stesso processo, processo che si trasporta in altri campi, come i mass media, la politica ecc…”
Continua Baudrillard: “si capisce così finalmente che le cose non sono mai rappresentate, consumate, ricevute al “primo livello”, vale a dire con dei “segni che condurrebbero al reale”, segni che in effetti vogliono dire qualcosa; ma le crisi sono sempre crisi del “secondo livello”, dove i segni funzionano tous seuls, senza risvegliare affatto una realtà o un principio di realtà (…) Mi sembra che tutto passi per questa stessa spirale dell’iperrealtà, cioè: noi agiamo, tutti agiscono come se si producesse sempre di più, come se tutto producesse conoscenza, ma in fondo si tratta di una specie di finalità senza fine, finché non sfocia in una specie di iperspazio…”
L’iperrealtà descrive dunque la realtà di un mondo che si è liberato da qualsiasi rimando ultimo alle cose, ai suoi referenti concreti.
Che fare? Non certo cercare di tornare indietro, cercando di restituire il reale: l’unica strada, secondo Baudrillard, era quella di spingere il gioco della iperrealtà fino in fondo (intrappolando il sistema nella sua stessa simulazione). Sì, ma come?


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