Archivio per agosto 2007

memorie operaie

Quando facevo le scuole elementari io, non si studiava ancora inglese (in realtà un poco sì, ma non conta): si studiava il proprio territorio. Si andava in giro, capitava di fare pochi passi e di trovarsi tra i campi e i maceri. Tra le prime gite – credo verso la fine degli anni Settanta – ho un ricordo ormai mitico di una visita al museo della civiltà contadina di San Marino in Bentivoglio (sempre nella bassa bolognese: i Bentivoglio erano i signori di Bologna). Già allora il mondo e la vita contadina erano diventati luoghi di memoria, in via di scomparsa e allo stesso tempo riconosciuti come meritevoli di essere ricordati. Così il mondo dei braccianti (gli operai contadini) ha in qualche modo avuto per primo questo riconoscimento, questa attenzione. Non a caso il coro delle mondine di Bentivoglio si costituisce proprio in quegli anni.
Mi viene in mente ora che fu proprio lì che scoprii come si scriveva una parola la cui sonorità mi era familiare, ma che apparteneva solo alla lingua orale: l’arzdàura, in italiano significa la reggitrice. Capii anche a cosa servivano i maceri che facevano parte di un paesaggio di pianura familiare ma allo stesso tempo ormai alieno, per una bambina urbanizzata come me.

Mi chiedo invece cosa sta accadendo alle memorie operaie urbane, industriali, che negli anni Settanta, non solo in Italia, erano ancora al centro del mondo. Verranno fatti dei musei a ricordarli, e come si chiameranno? Quali luoghi possiamo oggi rintracciare come luoghi di memoria di questo mondo che negli ultimi trent’anni ha subito profonde trasformazioni?
Ovviamente qualche idea ce l’ho, ma ci sto lavorando.

cantare per ricordare/il cantourlato delle mondine

Ieri sera alla festa nazionale dell’Unità, che si tiene quest’anno a Bologna, hanno cantato le mondine di Bentivoglio. Il gruppo di donne, oggi tra i sessanta e gli ottanta anni, così a occhio, rappresenta l’ultima generazione di mondine che hanno lavorato nelle risaie della campagna bolognese, la bassa a nord della città. Trent’anni fa circa, raccontava la mondina Renata all’inizio del concerto, una maestra di scuola elementare di Bentivoglio le invitò perchè raccontassero la loro storia ai bambini, e così comincio la loro avventura, che ha avuto una breve pausa di arresto, ma recentemente si è riattivata. Hanno cantato per due ore – con un’energia da non credere – le loro canzoni di lotta, in parte d’autore e in parte inventate dalle stesse mondine, che nelle risaie non potevano parlare (dovevano lavorare) e allora cantavano, la loro protesta ma anche la loro irriverente giovinezza.
L’occasione non era unica, perchè le mondine di Bentivoglio canteranno in giro anche nei prossimi giorni, e spero che continuino anche l’anno prossimo il loro corso, perchè la loro storia e la loro forza continui a essere cantata. Chi volesse affiancarsi a loro può contattarle all’indirizzo che ho trovato sul cd che raccoglie alcuni loro canti: mondinedibentivoglio@email.it

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le mondine di Bentivoglio

ps: gli antropologi che studiano il consumo ci dicono che trasferiamo significati dalle cose alle persone, a volte gli oggetti servono ad appropriarsi di qualità che culturalmente attribuiamo loro. Immaginate quindi perchè sono tanto fiera di possedere la bicicletta di una mondina di Molinella (e immensamente grata a Gigi che me l’ha regalata), pur essendo sicura di non meritarmela.

¿Es usted feliz?

ma a voi, tutta questa comunicazione, vi rende felici?

Con questo dubbio in testa segnalo una esposizione al Museo delle belle arti di Losanna (Svizzera) dell’artista cileno Alfredo Jaar, fino al 23 settembre.

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Alfredo Jaar, Studies on Happiness, 1979-1981 (fotografia)

pausa

andiamo un po’ in vacanza, circa due settimane. au revoir.

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Marsiglia, la corniche (foto di roberta bartoletti)

2 agosto 2007

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27 anni dopo (foto di fabio fornasari)

mi ricordo il 2 agosto 1980

La mattina del 2 agosto 1980 ero in centro, a Bologna. Per centro i bolognesi intendono in generale la città entro le mura, entro la terza cinta muraria. Cercavo un regalo per mia cugina, che compie gli anni quel giorno. Mentre tornavo a casa in autobus sentivo delle sirene di ambulanza, lungo la via emilia ponente una quantità di ambulanze fuori dal normale, che dall’Ospedale Maggiore correvano in direzione del centro della città (la stazione è a nord, lungo la circonvallazione). Il mio ricordo del 2 agosto 1980 sono quelle sirene di ambulanza, e lo schiaffone che mi accolse a casa, segno che la preoccupazione della mia famiglia allargata si era dissolta vedendo che ero tornata sana e salva. Dopo lo stupore per lo schiaffo, lo shock della notizia e delle prime immagini della strage, della stazione sventrata, dei soccorritori e delle vittime.

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Da bolognese ho molto apprezzato il libro di una collega, Annalisa Tota, che ha dedicato a questa strage e ai suoi oggetti una ricerca, innescata dalle sue frequentazioni di pendolare della sala d’aspetto della stazione di Bologna, dove la bomba fu messa, dove la bomba scoppiò e dove oggi si trova una lapide trasparente e una breccia nel muro, a memoria della ferita nel corpo della città, che è rimasta come suo tratto identitario.
Se la strage ha lasciato delle tracce indelebili nei corpi, di quelli che c’erano, che hanno vissuto in diretta l’evento, di quelli che ne hanno ascoltato il racconto, perché resti come elemento di una memoria collettiva più allargata (cittadina, nazionale, politica, …) ha bisogno delle sue oggettivazioni. Sono oggetti di memoria della strage del 2 agosto (oggetti in senso materiale) l’orologio di sinistra, all’ingresso principale della stazione, fermo alle 10,25, che solo a viaggiatori disattenti può sembrare un segno di inefficienza delle ferrovie dello stato, e, più remoto e invisibile, l’autobus rosso e giallo della linea 37 che il 2 agosto, su iniziativa dei tramvieri dell’Atc, fu adibito ad ambulanza di fortuna e a mezzo di trasporto delle salme. Oggi l’autobus 37 è conservato nel Museo dell’azienda dei trasporti locali (la stessa che accoglie in un suo ex deposito quel che resta dell’aereo di Ustica). Questi oggetti sono oggetti di memoria perché c’è volontà di ricordare – non solo dell’Associazione dei familiari delle vittime, non solo dell’Amministrazione comunale o dell’Azienda dei trasporti locali – e contemporaneamente il pericolo di dimenticare. Questo fa del 2 agosto 1980 un luogo di memoria.


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