Quando facevo le scuole elementari io, non si studiava ancora inglese (in realtà un poco sì, ma non conta): si studiava il proprio territorio. Si andava in giro, capitava di fare pochi passi e di trovarsi tra i campi e i maceri. Tra le prime gite – credo verso la fine degli anni Settanta – ho un ricordo ormai mitico di una visita al museo della civiltà contadina di San Marino in Bentivoglio (sempre nella bassa bolognese: i Bentivoglio erano i signori di Bologna). Già allora il mondo e la vita contadina erano diventati luoghi di memoria, in via di scomparsa e allo stesso tempo riconosciuti come meritevoli di essere ricordati. Così il mondo dei braccianti (gli operai contadini) ha in qualche modo avuto per primo questo riconoscimento, questa attenzione. Non a caso il coro delle mondine di Bentivoglio si costituisce proprio in quegli anni.
Mi viene in mente ora che fu proprio lì che scoprii come si scriveva una parola la cui sonorità mi era familiare, ma che apparteneva solo alla lingua orale: l’arzdàura, in italiano significa la reggitrice. Capii anche a cosa servivano i maceri che facevano parte di un paesaggio di pianura familiare ma allo stesso tempo ormai alieno, per una bambina urbanizzata come me.
Mi chiedo invece cosa sta accadendo alle memorie operaie urbane, industriali, che negli anni Settanta, non solo in Italia, erano ancora al centro del mondo. Verranno fatti dei musei a ricordarli, e come si chiameranno? Quali luoghi possiamo oggi rintracciare come luoghi di memoria di questo mondo che negli ultimi trent’anni ha subito profonde trasformazioni?
Ovviamente qualche idea ce l’ho, ma ci sto lavorando.
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