Archive for the 'archivi' Category

memorie dal basso

La rete, con tutte le sue piattaforme aperte alla produzione di contenuti da parte degli utenti, è diventato un luogo della memoria. Un luogo dove i ricordi possono essere oggettivati nella scrittura e nelle immagini. Dove possono essere conservati/recuperati e resi visibili agli altri.
Era implicito, ma ancora non l’avevo mai espresso esplicitamente.
In altre parole la rete offre una nuova possibilità alla memoria individuale e a quella collettiva: non lasciarsi de-scrivere solo dagli altri. Dalla politica, dai media mainstream, dai libri scolastici, dai monumenti…
In fondo la rete consente agli utenti di fare da soli il lavoro che un tempo facevano etnografi appassionati della cultura popolare, delle culture subalterne. Oggi chiunque di noi abbia una nonna con una storia da raccontare, da salvare dall’impermanenza della vita individuale, può attrezzarsi di videocamera e consegnare il racconto di una vita a un sito come la banca della memoria. Come ha fatto A., come non posso più fare io, ma come possono fare molti di voi.

Di questo ed altro – sullo sfondo del web sociale e dei cosiddetti archivi sociali – ho pensato di parlare martedì prossimo a Roma, nella tavola rotonda che seguirà la conferenza di Pierre Sorlin.

geoblog della memoria

Trovo notizia su Chip&Salsa di oggi del progetto StoriesOnGeographies, un geoblog europeo partecipatorio della memoria, curato dal Museo diffuso della Resistenza di Torino. Si tratta di dare spessore storico ed emotivo alle mappe geografiche, segnalando luoghi di memoria. Sia individuali che collettivi.
Dalla segnalazione di un utente, che ha scritto sopra Barge:

Barge, decimazioni
Mio nonno, che non era neanche anti-fascista militante, stava per essere fucilato in una decimazione di rappresaglia. Fu risparmiato all’ultimo perchè medico, grazie alla mediazione del parroco.

Un altro utente ha segnalato invece

Marzabotto, Cimitero di Casaglia
E’ uno dei luoghi dell’eccidio di Marzabotto dell’autunno del 1944 in cui morirono più di 700 persone, in prevalenza vecchi, donne e bambini. In questo luogo vennero trucidate 80 persone. Qui è sepolto don Giuseppe Dossetti.

Un altro utente precisa che:

sarebbe più corretto parlare di “massacro di Monte Sole”, visto che il rastrellamento e la strage hanno avuto effettivamente luogo nelle località disseminate sul massiccio di Monte Sole e non nel paese di Marzabotto, come lascerebbe intendere la vecchia dizione.

Ad ogni segnalazione, infatti, che va corredata di indirizzo per consentire il posizionamento sulla mappa, possono essere associate immagini e sono altresì possibili commenti da parte degli utenti.

Il progetto mi pare molto bello, tanto che ho già dato il mio primo contributo. Stupefacente che nessuno avesse ancora segnalato le Fosse Ardeatine, luogo di una delle più efferate rappresaglie nazifasciste, avvenuta durante l’occupazione tedesca di Roma.

la bio-memoria del mondo

I mormoni conservano gli archivi genealogici in grotte scavate nelle montagne. Gli scienziati norvegesi conservano in grotte di ghiaccio le informazioni sulla biodiversità vegetale del mondo. E’ di qualche giorno fa la notizia dell’inaugurazione ufficiale di quella che è stata metaforicamente chiamata l’Arca di Noè dei semi, gallerie a pochi chilometri dal Polo Nord che conservano i semi delle specie che potrebbero essere distrutti da catastrofi naturali o causate dall’uomo. Non so dove, ho letto che al finanziamento è interessato Bill Gates (la sua fondazione). Non solo lui, leggo qui. Notizia da non sottovalutare.

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immagine via

mio archivio, miei antenati

La motonave Vulcania nasce nel 1926 nei cantieri navali di Monfalcone. Dopo varie rotte attraverso l’oceano atlantico e le traversie della guerra, dal 1947 riprende il servizio passeggeri sulla linea Genova-Napoli-New York con 240 cabine di prima classe, 270 di seconda e 860 di terza classe turistica, rotta che continua fino al 21 settembre 1955.

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Motonave Vulcania, Genova-New York, (giorno? mese?) 1949 – la partenza (porto di Genova?)

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i passeggeri della motonave Vulcania, 1949 (terza classe?)

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mia madre, tra i passeggeri della Mn Vulcania che attraversa l’oceano, 1949

? dati mancanti o incerti

alla ricerca degli antenati/2

Se da un lato la ricerca degli antenati ha dato vita a un vero business genealogico, la storia della Family History Library aggiunge complessità al tema: è un’istituzione di grande rilevanza per i Mormoni, per i quali in paradiso si va in famiglia, e la famiglia intera, fino all’ultimo antenato, deve quindi essere nota affinché tutti possano essere battezzati e riuniti in cielo.
Per questo già nel 1894 la Chiesa dei Santi dell’Ultimo Giorno fonda la Genealogical Society of Utah (oggi nota come Family History Department). Inizialmente i volontari ricopiavano a mano gli archivi parrocchiali e le lapidi tombali, andavano in giro per il mondo o si facevano recapitare gli archivi. Dal 1938 l’archiviazione è continuata su microfilm, prima negli Stati Uniti, poi in Messico, e in Europa (ad esempio nell’Ungheria del 1956, minacciata dalla distruzione degli archivi e successivamente in Polonia). Nel 1959 l’archivio aveva raggiunto dimensioni tali da richiedere lo scavo di 6 gallerie nelle montagne del Little Cottonwood Canyon, vicino a Salt Lake City – i Granite Mountain Record Vaults.

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La Family History Library, con le sue 4.000 filiali sparse in tutto il mondo, arriva oggi a custodire 2,4 milioni di registrazioni genealogiche, il database Ancestral File contiene più di 36 milioni di nomi collegati in famiglie. Gli stessi Stati si affidano alla chiesa mormonica per fotografare i propri archivi (ma d’Eramo ricorda il caso della Francia, che ha sciolto l’accordo dopo aver scoperto che i dati degli archivi venivano utilizzati per rintracciare antenati da battezzare e recuperare alla famiglia).
L’ossessione genealogica dei mormoni, sottolinea d’Eramo, è in sintonia con quella di un popolo di emigrati sradicati, alla continua ricerca delle proprie radici. Lo storico Hobsbawm fa risalire questa passione agli anni in cui iniziarono le grandi ondate migratorie dall’Europa del sud e orientale, gli stessi anni in cui i mormoni fondavano la Gsu.

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Proliferano infatti i siti, compresi quelli degli archivi nazionali, che riportano liste di passeggeri che hanno attraversato l’oceano, fin dal secolo scorso, che hanno dato vita a discendenti americani. Non solo americani.
Io non ho trovato nulla, mi accontento del mio archivio, per ora.

alla ricerca degli antenati/1

Qualche mese fa mi sono imbattuta in un sito che consentiva di costruirsi il proprio albero genealogico. Ho inserito il nome mio e dei miei genitori, date di nascita e di morte, ma poi mi sono fermata perchè mi sono resa conto che sarebbe stato assai difficile risalire oltre la seconda generazione di antenati, in assenza di testimoni diretti. Ho comunque trovato interessante il fatto che la ricerca degli antenati potesse disporre di strumenti così raffinati.

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Lanciato nel 2001, Ancestry.co.uk dichiara di essere il sito più importante di storia familiare in Gran Bretagna, con i suoi 645 milioni di nomi. Ancestry.co.uk è parte di una rete globale di siti che abbraccia Stati Uniti, Australia, Canada e Germania e Italia. Secondo Ancestry.co.uk il 54% degli inglesi vorrebbe acquisire informazioni sul proprio albero genealogico, dato che un terzo di questi non sa nemmeno se i propri antenati hanno partecipato o meno alla prima o alla seconda guerra mondiale. Oggi possono scoprirlo con una semplice ricerca online, grazie alla collaborazione che Ancestry.com ha stretto con l’Archivio Nazionale inglese, come scriveva recentemente il Guardian. La rete consente inoltre di chiedere la collaborazione di altri, che possono integrare le conoscenze lacunose del proprio passato. Non ultima, la novità della ricerca genetica sul dna, che può facilitare una ricostruzione delle proprie origini.
Due fatti sono credo importanti, in questa storia: uno è il desiderio di ricostruire le proprie origini, in un mondo dove di fatto sono scomparsi gli antenati, e dove gli antenati vanno quindi ricostruiti in qualche modo. In secondo luogo, mi chiedo a chi e a cosa servano queste ricostruzioni a chi presta il suo supporto, tecnologico e pratico.

Una risposta, non definitiva ma rivelatrice, si trova nel reportage di Marco d’Eramo in viaggio nella terra dei Mormoni, nello Utah. A Salt Lake City si trova infatti la Family History Library.

(continua…)

una rete al femminile?

Mentre nella blogosfera si parla di cicli mestruali (io rimando a quanto avevo già scritto qui), vorrei sottolineare una notizia che credo rilevante per chi ha le mestruazioni (le ha avute o le avrà), ma anche per gli altri. Fem-camp docet.
Leggo stamani sul giornale di ieri (i blog non servono a far cronaca, si sa, il mio sicuramente no) che dall’esperienza dell’Associazione Orlando di Bologna nasce dopo un paio di anni di lavoro un motore di ricerca sensibile al femminile: si chiama la Cercatrice di rete, che non ha certo l’ambizione di sostituirsi a Google, ma intende integrarlo offrendo un filtro che osserva le informazioni in rete da un punto di vista femminile, o è attento alle tematiche del femminile (dalla violenza sulle donne come forma specifica della violenza all’empowerment delle donne attraverso le tecnologie, o tutto il resto che vi viene in mente). Ne parlano Marzia Vaccari e Federica Fabbiani nell’articolo di Francesca Martino. Marzia dice: “i consigli che offre la cercatrice sono tratti da Linguaggio-Donna, un repertorio linguistico messo a punto nel 1991 dai centri di documentazione delle donne, quando il problema era diventare visibili nei cataloghi delle biblioteche e degli archivi, nei quali cercare tematiche femminili per soggetto è un’impresa impossibile”.
Che dire, bisognerà provarlo (è un consiglio), e magari confrontarsi su quello che produce questo modo di cercare al femminile.

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Annette Messager, Secret, 2006

prima prova: se la cercatrice cerca con la chiave “mestruazioni” il risultato di oggi è questo qui. Il primo risultato della ricerca è un articolo del blog Mondodonna sulla pillola che elimina il ciclo, che – coincidenza – coincide con il mio post sul ciclo di cui parlavo all’inizio. Beh, come prima prova son soddisfatta.

un museo della memoria per Buenos Aires

Un amico si lamenta che i miei post sono troppo tristi. Poi mi segnala questo articolo (della serie “non sappiamo cosa vogliamo”) ed ecco questo post che ben si colloca sulla scia dei precedenti.

In questi giorni l’esercito argentino ha finalmente consegnato alle autorità civili gli edifici che ospitavano la Scuola tecnica della Marina (l’Esma). Da qui durante la dittatura partivano gli squadroni militari che sequestravano gli oppositori politici, qui sono stati imprigionati, torturati e uccisi più di 5.000 dei 30.000 desaparecidos. La maggior parte di loro venne gettata nel Rio della Plata in quelli che si chiamarono “i voli della morte”. Qui ancora venne allestito in quegli anni un piccolo ospedale con un reparto maternità clandestino, dove i militari attendevano che le ragazze incinte sequestrate portassero a termine la gravidanza per sottrarre loro i bambini, che venivano affidati a famiglie di militari o poliziotti, prima di ucciderle.
Gli edifici dell’Esma sono quindi particolarmente adatti ad ospitare il “Museo della memoria” che aprirà all’inizio di novembre, che si affianca al già esistente Parco delle memoria, di cui ho già parlato qui e a cui dedicherò un prossimo post. Per realizzare il museo, che fa parte del progetto “topografia della memoria”, i familiari dei desaparecidos hanno messo a disposizione documenti, foto e oggetti personali.

La costruzione del museo è stata decisa nel 2004 dal presidente argentino Kirchner e dal sindaco di Buenos Aires in occasione del 28° anniversario del golpe del 1976. Nel 1998, l’allora presidente argentino Carlos Menem (1989-1999) intendeva demolire gli edifici dell’Esma per creare al suo posto un grande parco, con un monumento dedicato alla “riconciliazione” del popolo argentino, leggo qui. Ma i gruppi per i diritti umani si erano opposti alla demolizione ottenendo un’ingiunzione che ha bloccato l’attuazione del decreto, anche se la Marina aveva continuato a occupare gli immobili. Le pressioni delle organizzazioni per i diritti umani hanno poi portato il governo a sfrattare la Marina dall’ESMA da quei 19 ettari di terreno su cui sorgono 15 edifici.
Un museo è una tipica oggettivazione della memoria culturale, così l’Argentina esplicita una politica della memoria, coerente con un desiderio di giustizia esplicitato dalle recenti azioni giudiziarie contro i responsabii dei crimini della dittatura. Mentre infatti Menem intendeva demolire gli edifici dell’Esma (cancellarli), le “leggi sull’obbedienza dovuta” e le amnistie del 1986 e del 1987 hanno bloccato la persecuzione dei crimini commessi durante la dittatura, per molti, troppi anni.

Che finalmente si faccia giustizia, mi pare una notizia affatto triste.

il diritto di essere ascoltati

Ho letto uno stralcio della relazione che Alessandro Portelli ha tenuto a un convegno alla Biblioteca nazionale di Roma il 29 settembre scorso. Per chi non lo sapesse, Portelli, americanista, ha scritto uno dei più bei libri di storia orale italiana, per quel che mi riguarda, sulla strage delle Fosse Ardeatine. E’ quindi un testimone autorevole, quando si parla di memoria e in particolare di memoria popolare.
Nella sua relazione afferma una cosa che credo sia molto importante, in relazione alle cosiddette culture immateriali, ossia a quelle forme della cultura che non si materializzano in oggetti o testi, “ma nella possibilità socialmente diffusa di crearli o rievocarli”. Il cambiamento è innato in queste forme culturali, al di là dei luoghi comuni sulla loro stabilità e immutabilità, poiché la loro incessante ripetizione non è mai tale, mai identica a se stessa (cambia con la vita). Così come la memoria stessa è soprattutto un processo: “non un deposito di dati in via di progressivo disfacimento, ma una perenne ricerca di senso nel rapporto con il passato e nel riuso dei repertori culturali”.
La cosa credo cruciale che afferma Portelli è che la tutela di queste culture, così fragili nel loro affidarsi all’oralità, non sta tanto negli archivi e nelle registrazioni – seppur utili, necessaria forma di riconoscimento: la tutela di queste culture sta nel diritto di parola, e nel diritto all’ascolto, che si riconosce alle persone e ai gruppi che hanno creato e continuano a far vivere quelle culture. Bello, no?

Ps: ho scoperto proprio ora che Alessandro Portelli ha un blog, che non può non entrare nel mio blogroll…

memorie démodées

Ho scoperto, ormai due settimane fa, che ci si può associare all’Anpi. Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. Anche se non si è stati combattenti. ll motivo, non esplicitato ma evidente, è che a 62 anni dalla Liberazione anche i partigiani più giovani di allora sono ormai ottantenni. La loro memoria, per conservarsi, ha bisogno di essere oggettivata al di fuori dei loro corpi.

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I loro nomi e la loro storia sono raccontati qui, tra loro mi va di ricordare Dante Drusiani, nome di battaglia Tempesta, “nato a Porretta Terme (Bologna) il 24 marzo 1925, fucilato a Sabbiuno di Castelmaggiore (Bologna) il 25 dicembre 1944, operaio, Medaglia d’oro al valor militare alla memoria”. Inseparabile dal compagno Terremoto. A Dante Drusiani è dedicata una scuola dietro casa mia, e con grande piacere ho scoperto che era un partigiano, vedendo il masso con il suo nome nell’ultima visita fatta a Sabbiuno.

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il monumento di Sabbiuno, foto di Garaz presa qui

memorie operaie

Quando facevo le scuole elementari io, non si studiava ancora inglese (in realtà un poco sì, ma non conta): si studiava il proprio territorio. Si andava in giro, capitava di fare pochi passi e di trovarsi tra i campi e i maceri. Tra le prime gite – credo verso la fine degli anni Settanta – ho un ricordo ormai mitico di una visita al museo della civiltà contadina di San Marino in Bentivoglio (sempre nella bassa bolognese: i Bentivoglio erano i signori di Bologna). Già allora il mondo e la vita contadina erano diventati luoghi di memoria, in via di scomparsa e allo stesso tempo riconosciuti come meritevoli di essere ricordati. Così il mondo dei braccianti (gli operai contadini) ha in qualche modo avuto per primo questo riconoscimento, questa attenzione. Non a caso il coro delle mondine di Bentivoglio si costituisce proprio in quegli anni.
Mi viene in mente ora che fu proprio lì che scoprii come si scriveva una parola la cui sonorità mi era familiare, ma che apparteneva solo alla lingua orale: l’arzdàura, in italiano significa la reggitrice. Capii anche a cosa servivano i maceri che facevano parte di un paesaggio di pianura familiare ma allo stesso tempo ormai alieno, per una bambina urbanizzata come me.

Mi chiedo invece cosa sta accadendo alle memorie operaie urbane, industriali, che negli anni Settanta, non solo in Italia, erano ancora al centro del mondo. Verranno fatti dei musei a ricordarli, e come si chiameranno? Quali luoghi possiamo oggi rintracciare come luoghi di memoria di questo mondo che negli ultimi trent’anni ha subito profonde trasformazioni?
Ovviamente qualche idea ce l’ho, ma ci sto lavorando.

gli oggetti personali dei passeggeri del volo IH 870

Oggi è stato inaugurato il Museo della memoria di Ustica, a Bologna. Con tanto di sindaco e ministro. Ustica è un piccolo frammento di una storia più grande, oscura e inquietante. Per questo, credo, molto importante (anche per questo). A Bologna lo sappiamo bene, dovremmo saperlo. Dobbiamo ricordarlo.
Finalmente ho visto l’opera di Boltanski, che rimane come allestimento permanente ed è visitabile fino al 16 luglio da martedì a domenica dalle 10 ale 18 (il giovedì fino alle 24). Dal 16 luglio al 16 settembre solo il fine settimana, dalle 10 alle 18 (Via di Saliceto n. 5).

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foto mia

L’aero, il Dc9 dell’Itavia, ricostruito come nell’hangar da cui proviene, è un po’ sacrificato nello spazio del museo, i visitatori possono camminargli intorno, e ascoltare i pensieri ad alta voce dei passeggeri, che provengono dai pannelli neri appesi alle pareti. La gente si avvicina con l’orecchio, per ascoltare, per sentire meglio. A fianco dell’aereo, delle scatole nere un po’ funeree contengono gli oggetti ritrovati. Gli oggetti non sono visibili, le scatole sono opache, intrasparenti. Nel libro, consegnato a tutti i visitatori all’entrata, sono stati fotografati, catalogati per tipo: borse, abiti, biancheria, scarpe, oggetti personali… A questi oggetti, e alla loro catalogazione, è dedicato il breve testo di Beppe Sebaste: “Le cose, testimonianze della vita delle persone. Gli oggetti sono tracce. Segni di una presenza. Impronte. Gli utensili, il valore d’uso delle cose. …. La memoria degli oggetti. Quella degli abiti, che raccontano la storia – la forma – dei corpi. La sopravvivenza delle cose. La spettralità delle cose. …”
L’aereo e gli oggetti ritrovati sono stati sottratti alla polvere dell’hangar, dove rischiavano di dissolversi nel nulla. E’ come se ora avessero avuto degna sepoltura, l’aereo e le cose. E con loro, anche i passeggeri. Per questo ho trovato molto naturale che l’inaugurazione si concludesse con una benedizione.


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