Archive for the 'fotografia' Category

grandi madri operaie

Non ci sono parole per commentare il lavoro di Brian Griffin, sono troppo potenti le immagini.

Eccole (alcune).

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Woman Chainmaker, Cradley Heath, UK 2010.

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The Black Kingdom, 2013

Edith Griffin. Operaia di fonderia

Non solo grandi madri:

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La mostra è attualmente a Bologna, atterrata da Marte.

 

memorie di campo/2

Dimenticavo: delle note di campo fanno parte integrante le fotografie, che ho fatto durante la ricerca (persone, luoghi, oggetti), e le poche che hanno fatto a me mentre lavoravo.
Eccone una: un’immagine di campo, l’etnografa con un volontario del bar dell’Ulivo e il signor Massimo Musiani che ci ha cortesemente messo a disposizione il suo mezzo per fare le foto dall’alto.

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foto dall’alto © Oscar Ferrari

la foto rubata

per me la fotografia è strettamente legata alla memoria. non che questa connessione me la sia inventata io, ovvio. intendo dire che il mio fotografare, e la mia passione per la fotografia, è legato alla potenza della fotografia in relazione alla memoria, in particolare al ricordare.

La signora Dina Zaghi, classe 1930, qualche giorno fa vede inaspettatamente la sua foto in un manifesto politico di un importante partito nazionale. Telefona e precisa che quella foto è del 1948, non del 1954 come dichiarato dall’articolo che accompagna la riproduzione del manifesto, descritto come uno dei più significati del dopoguerra italiano. Lo sa bene, lei, che in quella immagine compare, mentre aspetta l’autobus di ritorno da una manifestazione a Milano. Una foto rubata, di una giovane donna del 1948 con il tricolore in mano. Appena la trovo, la pubblico.

memorie di festa

Sto raccogliendo, con l’aiuto e il supporto (volontario) di Lorenzo, storie e memorie dei volontari che lavorano alle feste dell’Unità, con l’occasione della festa nazionale che si svolge nella mia città. Per chi non lo sapesse, sono migliaia, in questi giorni a Bologna. Ascoltare e raccogliere queste testimonianze credo sia un atto di rispetto, innanzitutto.
Ma non solo. Come si sa, la memoria riguarda il futuro, non tanto il passato. Nei momenti di grande cambiamento occuparsi della memoria significa, credo, pre-occuparsi del futuro.
Raccolgo materiale allora su quello che in questo momento è un luogo in bilico, e in quanto tale può trasformarsi in un luogo di memoria (vivo nei corpi ma destinato al declino). Cerco anche di capire se e in quale misura ci sia un legame tra la scomparsa delle memorie operaie e la trasformazione di una festa che era ad esse fortemente intrecciata, nei modi e nei significati.

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festa nazionale dell’Unità, Bologna 2 settembre 2007
foto © Roberta Bartoletti

Un vero fotografo farà delle fotografie.

¿Es usted feliz?

ma a voi, tutta questa comunicazione, vi rende felici?

Con questo dubbio in testa segnalo una esposizione al Museo delle belle arti di Losanna (Svizzera) dell’artista cileno Alfredo Jaar, fino al 23 settembre.

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Alfredo Jaar, Studies on Happiness, 1979-1981 (fotografia)

memorie di un fruttivendolo

La zona dell’ex mercato ortofrutticolo di Bologna è oggi un gran cantiere, nello spazio liberato dalle demolizioni, e in parte un centro sociale abbastanza attivo, l’ex mercato 24. Qualche anno fa, la struttura del mercato era ancora in piedi e ancora “leggibile”, riconoscibile: mentre Fabio lavorava alla sua mostra all’xM24 ho avuto l’occasione di fare qualche fotografia. Perchè sapevo delle imminenti demolizioni, e quel luogo era per me un luogo di memoria personale. Ho fotografato le tracce del mercato all’ingrosso e dell’attività dei suoi abitanti: bilance, pese, qualche insegna di venditore, qualche pubblicità di banane, orari di apertura… poche cose, davvero poche cose. L’unica traccia che mi interessava, che motivava quegli scatti, era invisibile, sconosciuta, perduta per sempre. In fondo, mi rattristava che tutta la vita di quel luogo (che io non conoscevo, ma solo immaginavo, a partire da pochi frammenti) sparisse per sempre, venisse dimenticata, e con essa le tracce di quell’unica vita che lì era passata e che veramente mi interessava. So che mio padre, fruttivendolo a Bologna nel dopoguerra e fino al 1967, faceva parte di quei movimenti di cose e di persone che animavano il mercato nelle prime ore della mattina, quando la maggior parte della gente ancora dormiva.

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Via Fioravanti, 22 luglio 2007 (foto mia)

Ho scoperto solo stasera – grazie alla segnalazione di un amico che abita alla Bolognina – che è stato fatto un lavoro fotografico sul mercato di ieri e l’ex mercato di oggi, tra i promotori il Laboratorio Mercato oltre al comune e al quartiere (oggi Navile) e lo stesso xM24. Lungo la via Fioravanti, dove si affaccia il centro sociale, l’ingresso sopravvissuto dell’ex mercato e il cantiere della nuova sede del comune, gli spazi destinati all’affissione pubblicitaria ospitano una mostra fotografica su due binari temporali (e di uso, ma anche di senso). Alcune immagini ritrovate, non si sa chi è il fotografo (il comune si mette a disposizione se si facesse vivo, si legge sul manifesto), immagino degli anni Sessanta, ritraggono frammenti di vitalità estiva del mercato ortofrutticolo di Bologna: casse di cocomeri, camion e camioncini caricati e scaricati, facce di fornitori e facchini in grembiuli di altri tempi. Queste le immagini per me più commuoventi. Non ho visto la faccia di mio babbo, non c’era in quelle immagini, ma avrebbe potuto esserci. Magari era poco più in là. Appena fuori dal campo visivo dell’obiettivo del fotografo. Non si sa mai che grazie al blog non riesca a recuperare una testimonianza visiva del suo passaggio in quel luogo: se avete qualche fotografia, me la regalate?

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Aggiornamento: forse dovevo intitolare più precisamente l’articolo: memorie (perdute) di una figlia di fruttivendoli…

gli oggetti personali dei passeggeri del volo IH 870

Oggi è stato inaugurato il Museo della memoria di Ustica, a Bologna. Con tanto di sindaco e ministro. Ustica è un piccolo frammento di una storia più grande, oscura e inquietante. Per questo, credo, molto importante (anche per questo). A Bologna lo sappiamo bene, dovremmo saperlo. Dobbiamo ricordarlo.
Finalmente ho visto l’opera di Boltanski, che rimane come allestimento permanente ed è visitabile fino al 16 luglio da martedì a domenica dalle 10 ale 18 (il giovedì fino alle 24). Dal 16 luglio al 16 settembre solo il fine settimana, dalle 10 alle 18 (Via di Saliceto n. 5).

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foto mia

L’aero, il Dc9 dell’Itavia, ricostruito come nell’hangar da cui proviene, è un po’ sacrificato nello spazio del museo, i visitatori possono camminargli intorno, e ascoltare i pensieri ad alta voce dei passeggeri, che provengono dai pannelli neri appesi alle pareti. La gente si avvicina con l’orecchio, per ascoltare, per sentire meglio. A fianco dell’aereo, delle scatole nere un po’ funeree contengono gli oggetti ritrovati. Gli oggetti non sono visibili, le scatole sono opache, intrasparenti. Nel libro, consegnato a tutti i visitatori all’entrata, sono stati fotografati, catalogati per tipo: borse, abiti, biancheria, scarpe, oggetti personali… A questi oggetti, e alla loro catalogazione, è dedicato il breve testo di Beppe Sebaste: “Le cose, testimonianze della vita delle persone. Gli oggetti sono tracce. Segni di una presenza. Impronte. Gli utensili, il valore d’uso delle cose. …. La memoria degli oggetti. Quella degli abiti, che raccontano la storia – la forma – dei corpi. La sopravvivenza delle cose. La spettralità delle cose. …”
L’aereo e gli oggetti ritrovati sono stati sottratti alla polvere dell’hangar, dove rischiavano di dissolversi nel nulla. E’ come se ora avessero avuto degna sepoltura, l’aereo e le cose. E con loro, anche i passeggeri. Per questo ho trovato molto naturale che l’inaugurazione si concludesse con una benedizione.

dimenticare l’Iraq

Pensavo che a Londra avrei trovato molti libri sulla fotografia contemporanea. Forse avevo troppo poco tempo. Nella libreria della Serpentine ho trovato finalmente una rivista dedicata alla fotografia contemporanea inglese, che mi sono portata a casa. Sfogliandola ho visto un articolo dedicato a un videoartista che apprezzo molto, Steve McQueen, e al suo lavoro recente intitolato Queen and Country.
Si legge nella recensione che l’artista non ha concepito quest’opera come un memoriale dedicato ai soldati inglesi caduti in Iraq: si tratta di un’opera d’artista, che ha a che fare con la politica della rappresentazione, della memoria, e anche dell’oblio. Soprattutto le reazioni seguite all’apertura della mostra alla Central Library di Manchester (in febbraio) hanno rivelato il rimosso, come è stato scritto sulla stampa inglese e americana. L’ostruzionismo del ministero della Difesa inglese, ostile alla realizzazione dell’opera, ha rivelato l’esistenza di una memoria culturale ufficiale sulla guerra in Iraq che non poteva confrontarsi con la concretezza dei volti degli oltre 100 soldati inglesi caduti. McQueen ha contattato 115 famiglie, di queste 102 hanno risposto e 98 hanno collaborato con l’artista selezionando una immagine privata dei loro cari caduti in guerra (donne e uomini). Ognuna di queste immagini è stata trasformata in un francobollo: l’opera consiste in 98 fogli (inseriti in 49 pannelli estraibili, in sequenza per data di morte) dove ognuna di queste immagini è ripetuta 168 volte.

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Caporale Benjamin Hyde, morto il 24 giugno 2003 all’età di 23 anni

Si tratta di immagini private e intime (a colori), che oggettivano una memoria collettiva viva, scomoda per la memoria ufficiale dello Stato. In ogni francobollo, in alto a destra, il profilo della regina. Ancora una volta la carta e non il marmo o la pietra, un’immagine privata, intima e concreta che si contrappone a una rappresentazione astratta, collettiva e generalizzata: della guerra, delle sue conseguenze concrete.

Queen and Country, visibile alla Central Library di Manchester fino al 14 luglio, da fine mese si sposterà all’Imperial War Museum di Londra, che ha co-commissionato l’opera all’artista insieme al Manchester International Festival.

memorie atomiche

Un orologio fermo alle ore 11:02. Era il 9 agosto 1945, a Nagasaki. Così il fotografo giapponese Shomei Tomatsu ricorda la bomba atomica.
Altri oggetti, in un desolato isolamento dal contesto in cui avevano vita, come memorie visive della tradizione, della guerra…. Oggetti morti che parlano.


S. Tomatsu, Atomic Bomb Damage: Wristwatch Stopped at 11:02, August 9, 1945, Nagasaki, 1961.

La Galleria Civica di Modena ospita l’unica tappa italiana di una retrospettiva dedicata a Tomatsu, aperta fino al 22 luglio. Non solo per chi è toccato dal rapporto tra fotografia e memoria.

il libro di daniele

Conosciamo bene il lavoro di Daniele su Ferrara, le fotografie stampate come solo lui sapeva (e aveva la pazienza di) fare, e dalle stampe fino al menabò del suo libro. Lui non l’ha potuto vedere stampato, non era nemmeno certo di riuscire a stamparlo. Noi abbiamo la fortuna invece di vederlo, questo libro, da quel che ho capito è proprio come Daniele se lo immaginava, come lo voleva. Il libro viene presentato il 17 maggio al suo “paesello”, San Pietro, che lo ricorda con una mostra che inaugura il 5 maggio 2007.

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Aggiornamento del giorno dopo: non posso non riportare un commento sulla mostra che fabio scrive a oscar (che ha potuto seguire solo da lontano). fabio ha saputo trovare le parole più vere e sorprendenti per parlare dello sguardo di daniele, lo ringrazio e lo riporto nei commenti a questo post.

memorie di scomparse

vi ricordo: questo blog è sulla memoria (non sulla commemorazione).
Oggi sfogliando Internazionale, ho visto delle immagini che mi hanno toccato. Sarà perchè volevo fare la fotografa, sarà perchè ho una sensibilità particolare per le sofferenze e i drammi dell’America Latina del Novecento. Le immagini riguardano i luoghi di memoria dei desaparecidos argentini, cancellati dai vari regimi militari che si sono succeduti negli anni Settanta e Ottanta, trasformando garage, caserme e scuole in luoghi di tortura e di sterminio. A Roma, all’interno del festival internazionale di fotografia, una mostra è dedicata al lavoro di Giorgio Palmera, se volete andare. Se non andate, pensateci sopra, comunque.
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Foto di Giorgio Palmera, rovine del Club Atletico

cose indimenticabili: 21 aprile 1945

Il 21 aprile 1945 poteva essere una giornata di sangue, invece la città si trovò improvvisamente a festeggiare lungo la via Emilia la fuga dei tedeschi e la Liberazione. I carri armati degli Alleati (polacchi) arrivarono sotto le due torri e percorsero via Rizzoli fino al cuore di Bologna. Un amico qualche anno fa mi mostrò un libro fotografico sulla Liberazione, con immagini scattate da un fotografo amatoriale, e in particolare un’immagine, segnata da una crocetta, in cui LUI guarda passare i carri armati. Una comune commozione per questi ricordi – vissuti o solo immaginati, per questioni meramente anagrafiche – ha segnato la nascita di profonde amicizie, continua ad alimentarle. Questa mattina, chi ha avuto la fortuna di trovarsi in Piazza Maggiore alle ore 10 ha potuto sentire la campana della torre dell’Arengo suonare a festa (così leggo sul giornale, mi sono svegliata troppo tardi a causa di troppe conversazioni dal basso o di lato di ieri).
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Il 25 aprile si ricorda l’eccidio di Marzabotto, con la terza edizione dei Percorsi Antifascisti di Monte Sole (il processo per l’eccidio è durato un anno e mezzo e si è recentemente concluso con la condanna di dieci membri delle SS tedesche).

(una precisazione del giorno dopo: insieme agli Alleati, polacchi e inglesi, i partigiani della Brigata Maiella, oggi cittadini onorari di Bologna)


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