Archive for the 'luoghi di memoria' Category

ode all’atomo

L’atomo è entrato nella mia vita alle elementari, attraverso una poesia di Pablo Neruda.
E’ entrato insieme a Hiroshima e Nagasaki.

L’atomo è tornato nelle lezioni di chimica alle scuole superiori, in compagnia delle molecole, degli isotopi…

L’atomo è tornato, con la pioggia dopo Chernobyl, quando a lezione della Gherardi guardavamo preoccupati fuori dalle finestre dell’aula 3, e all’aperto si camminava come se il cielo ci dovesse cascare da un momento all’altro sopra alla testa. L’atomo è rientrato nelle nostre case, con l’insalata poi con il latte e la carne.

In attesa delle centrali della quarta generazione, consiglio a tutti la lettura di un libro bellissimo e tremendo della giornalista Svetlana Aleksievic, Preghiera per Cernobyl,. Che fra l’altro ci ricorda che le principali vittime della catastrofe alla centrale ucraina del 1986 sono stati gli abitanti della Bielorussia, perchè il vento non conosce confini.

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Berlin 1990 (c) Fabio Fornasari

gli stivali di Stalin/Budapest memories

E’ una storia già vista altrove: per quanto mi riguarda, a Mosca e Berlino. I monumenti legati a un regime passato vengono spazzati via, sostituiti, rimpiazzati.
A Budapest – credo un privato – ha costruito quello che oggi si chiama Memento Park, dedicato ai “resti della dittatura comunista”. Il parco si trova alla periferia della capitale, se così si può definire l’aperta e desolata campagna in cui sono stati riversati diversi monumenti legati al periodo sovietico, dalla statua dedicata all’amicizia russo-ungherese che dominava la città dalla collina Gellert, fino al pezzo direi più topico del parco.

Gli stivali di Stalin (di cui nel parco possiamo ammirare “una copia autentica”, si legge nella guida) sono quanto resta(va) della statua di Stalin che nel secondo dopoguerra dominava da un piedistallo la piazza degli eroi di Budapest, meta delle parate e luogo di adunate di stato. Durante la rivolta del 1956, prima dell’arrivo dei carroarmati sovietici, il popolo ungherese tirò giù la statua di Stalin, e restarono attaccati al piedistallo solo gli stivali.
Dalla guida non si capisce che fine hanno fatto gli stivali originali di cui ammiriamo oggi una copia autentica e in scala all’ingresso del Memento park. Che più che un luogo dedicato al ricordo mi è parso un parco giochi.

foto di Roberta Bartoletti (c)

morti di Reggio Emilia

La polizia – legittimata dal governo dell’epoca – sparò sulla folla dei lavoratori manifestanti nella piazza Vittoria di Reggio Emilia e 5 operai furono uccisi. Sono i morti di Reggio Emilia, era il 7 luglio.
Ma era il 7 luglio 1848, 1912, 1944, 1948 o 1960?
La data precisa di quell’evento mi pare sia la notizia più memorabile del giornale di ieri.
I morti di Reggio Emilia sarebbero un luogo di memoria cruciale per la sinistra italiana. Chissà se se lo ricorda.


Immagine di scioperi coevi ai morti di Reggio Emilia, che fa parte del patrimonio fotografico di Casa Rinascita, San Vito di Modena (sperando ci sia ancora).

feste dell’Unità: la parola ai redattori

Aggiornamento ter: anche il comitato di redazione dell’Unità si esprime, con lucidità e coraggio, sulla decisione di abbandonare una storia, un nome. Il comunicato di redazione è del 27 maggio. Concordo integralmente e quindi riprendo integralmente:

La festa nazionale de l’Unità cambierà nome. Potranno mantenere un legame con il logo del giornale fondato da Antonio Gramsci solo le feste locali. Almeno per ora. Pare che la decisione sia stata presa.

L’obiettivo sarebbe quello di dare un segno forte di discontinuità, conseguente alla nascita del Pd, formazione politica nata da Ds e Margherita. È una decisione che critichiamo e non per un datato attaccamento alla storia che fu. Le feste de l’Unità sono state e continuano a essere uno straordinario appuntamento di popolo, di confronto politico e di partecipazione democratica. Il marchio “l’Unità” è stato garanzia di tutto questo. Ed è patrimonio non nostro, della testata, o del Pd, ma di centinaia di migliaia di cittadini che non ne possono essere espropriati per editto.

Ci chiediamo se le scelte che riguardano il futuro di questi grandi appuntamenti di popolo non debbano essere vagliate attraverso un percorso democratico e partecipato, necessario proprio per favorire quel «contenitore» moderno che si intende costruire. Ci chiediamo se non si debba decidere dopo, alla fine del tragitto, se servono realmente soluzioni e nome diversi. O se il marchio che lega le Feste al rilancio del giornale fondato da Antonio Gramsci, mantiene ancora – come crediamo – tutta la sua forza.

L’Unità non è solo passato, non esprime solo le radici della sinistra italiana. È anche un punto di vista originale e autonomo sul presente e sul futuro di cui la democrazia del nostro Paese ha bisogno.

Il Comitato di redazione de l’Unità

una storia, un nome: le feste de l’Unità

La Festa de l’Unità nasce nel lontano 1945 come festa per l’autofinanziamento dell’omonimo quotidiano, e nel tempo si è evoluta come festa popolare del Partito Comunista Italiano, perno fondamentale della sua politica culturale e della sua progressiva trasformazione in un partito di massa. Poi il Pci è diventato Pds, poi Ds, ma la festa dell’Unità è rimasta (più o meno tale).
Nell’estate del 2007, alla vigilia dello scioglimento dei Ds per la fondazione del Partito Democratico, si è cominciato a mormorare che la festa dell’Unità avrebbe cambiato non solo forma ma anche nome. Qualcuno all’epoca ha anche detto cose strane, tipo marchio che funziona non si cambia. Mah.

E’ passato quasi un anno da allora e ancora, francamente, non si è capito un granché sul destino di quel glorioso nome. E dell’esperienza gloriosa, di migliaia di volontari, che stava dietro a quel nome, e gli dava sostanza e valore.
A Ravenna il Pd sta organizzando “la Grande Festa”, mi dicono. A Bologna, la storica festa delle 2 Madonne che inizia il prossimo 23 maggio (24 maggio causa pioggia) si chiama invece “Festa de l’Unità per il Partito Democratico”, e insieme alla Festa dell’Unità di Bentivoglio merita una segnalazione per la chiarezza identitaria. Una grande novità viene invece dal PD di Pesaro, che si è inventato e sta proponendo di chiamare le varie feste del PD con il nome del comune in cui si svolgono. La festa de l’Unità di Pesaro si è così trasformata nella “Festa Pesaro 2008”. Che ideona. La festa di chi? E soprattutto, la festa di che? Il Pd di Pesaro, orgoglioso, scrive sul suo sito: “E il nuovo “marchio” entra nel circuito nazionale. Complimenti. (Nota a margine: ma questo secondo loro sarebbe un marchio?!).
Per non parlare della trovata che ha avuto il Pd di Firenze per il nome della prossima festa nazionale: si chiamerà Democratic Party! 😦

Per piacere, non scherziamo. I nomi sono cose serie.

Scusate il campanilismo, ora, ma mi tocca parlare bene di casa mia. Di Bologna e della sua provincia – una volta tanto coraggiose. Dell’Emilia, anche (vedi Modena). Fiere della loro storia e del loro passato.
Sul sito del Partito Democratico della Provincia di Bologna è stata pubblicata il 19 maggio un’intervista al direttore delle feste dell’Unità, Lele Roveri (l’anno scorso direttore della Festa nazionale). Lele comunica la scelta della provincia di mantenere il nome Festa dell’Unità aggiungendo per il Pd, mentre a livello nazionale ognuno è stato lasciato libero di far quello che vuole. Lasciando spazio agli esperimenti di cui sopra. Che dire: grazie Lele.

Dimenticavo: vi sarei molto grata se mi segnalaste il nome che viene dato alle ex feste dell’Unità nei vostri quartieri, paesi, città… per fare un piccolo censimento di questa diaspora semantica. Grazie!

il mio 25 aprile

Domani a casa Cervi, famiglia di partigiani trucidati nella campagna reggiana, oggi museo Cervi, dalla mattina e soprattutto dalle ore 16, con i Fiamma Fumana e le mondive di Novi, Cisco, La casa del vento e tutti gli altri, come da programma qui. Con Fabio, Giulia, Marianna, Maurizio, Elena, ………. e tutti gli altri 6.994 partigiane e partigiani che prendono il testimone e cantano.

memorie resistenti

sono indecisa su quello che farò il prossimo 25 aprile. ci sono vari luoghi in cui vorrei essere a ricordare la Liberazione, la resistenza e i miei antenati, concreti o ideali. sono indecisa tra la Rinascita, la mia Piazza Maggiore e la casa Cervi, dove canteranno insieme 7000 partigiani. 7000 partigiani, non sono pochi, soprattutto di questi tempi, in cui le memorie resistenti sembrano avere vita dura. ho già promesso che se non ci sarò tutta intera, ci sarò sicuramente con il cuore, a casa Cervi, il 25 aprile 2008, a cantare insieme ai 7000 partigiani.

L’iniziativa 7000 partigiani che cantano a casa Cervi è promossa dal gruppo Mondine 2.0 – Di madre in figlia, che dopo aver raccolto l’adesione di 100 blogger all’iniziativa (io sono la numero 4!!!!) ha rilanciato e vorrebbe raccogliere 250 blogger: per adesioni andate qui, per scaricare il badge qui.

Ecco il libretto della giornata, scaricato via Stellavale, per chi volesse già cominciare a cantare…

gli antenati di Zapatero

Mentre in Italia alcuni nipoti si dimenticano delle gesta dei loro antenati, Zapatero onora il ricordo di suo nonno, e delle decine, migliaia di repubblicani che hanno lottato nella guerra civile spagnola, e che sono stati perseguitati nei 36 anni della dittatura di Franco.

Del mio unico viaggio nella capitale spagnola, Madrid, il principale ricordo che mi sono portata a casa è quello di aver visitato un paese che sembrava rimasto ibernato all’epoca della guerra contro l’invasione Napoleonica. All’epoca, per intenderci, rappresentata dal celebre quadro di Goya, conservato al Prado. Vedere quel quadro, nel principale museo di Madrid, e uscire nella città, nelle sue strade, nelle sue piazze, era un’esperienza senza soluzione di continuità (non fosse stato per i negozi, gli aperitivi e le strade commerciali). La città tutta unita ricordava la fiera resistenza contro Napoleone, nei monumenti e nei nomi della città. Non un unico riferimento alla guerra civile, la guerra fratricida, la guerra del Novecento che ha portato la Spagna al centro del mondo, che ha portato in Spagna non so quanti volontari, dall’Italia, dalla Francia, fin dal nuovo continente. Anche per questo motivo, lo confesso, Madrid non mi è piaciuta per niente.

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E’ quindi (anche per me) una vera notizia l’approvazione da parte del parlamento spagnolo di una legge che originariamente era chiamata Ley de la Memoria Historica, e che nel travagliato percorso verso l’approvazione si è trasformata nella “Legge attraverso la quale si riconoscono e si ampliano diritti e si stabiliscono misure in favore di coloro che soffrirono persecuzione o violenza durante la guerra civile e la dittatura”. Non è una legge straordinaria, lamentano le associazioni che da sempre di queste vittime e di quei crimini si sono occupati, cercando invano giustizia. Ma è sempre meglio del silenzio che ha fatto parlare, per la Spagna, di un pacto del silencio, e di un pacto del olvido. Oggi, quindi, non è più possibile semplicemente dimenticare.
Rimando al bell’articolo di Maurizio Matteuzzi, che ricorda tra gli altri le parole della scrittrice Almudena Grandes:

“Uno dei più grandi crimini del franchismo è aver provocato uno strappo brutale nella memoria, aver fatto sì che noi nipoti non sapessimo nulla o non potessimo più credere alla vita dei nostri nonni”.

Viva la Spagna, viva Zapatero.

la casa degli antenati

Nei mesi scorsi abbiamo visitato diversi musei etnografici e antropologici, per lavoro e per diletto, tra Italia, Francia e Svizzera. Tra questi, il Quai Branly di Parigi è sicuramente il più strabiliante e il più ammiccante a un pubblico di massa. Ma contiene testimonianze di culture primitive veramente stupefacenti, da lasciare a bocca aperta per la meraviglia.
Tra queste, ricordo ora e qui le case degli antenati – maison des esprit, maison des hommes -, stupefacenti per bellezza ma anche per il concetto, abbastanza diffuso nel mondo primitivo, che esprime la capacità dei vivi di restare in contatto con i propri antenati, di mantenere vivo il contatto tra passato, presente e futuro.

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Ognuno ha i suoi antenati, forse un vantaggio della modernità sta nel poter scegliere i propri: quelli i cui valori e le cui gesta rappresentano le origini da cui ci piace iniziare ad esistere, anche noi.
Partigiani, operai e contadini, uomini e donne. Questi sono i miei antenati.
E la Rinascita di San Vito è una vera e propria casa degli antenati, ma a questo dedico poi il un prossimo post.

quelli della falce e martello, quelli della fiamma

Ho ascoltato ieri l’intervista di Ugo Magri, a Radio3mondo, a Donna Assunta Almirante, vedova del leader storico del Movimento Sociale Italiano. L’occasione è la scomparsa di due simboli storici che hanno rappresentato da un lato il comunismo e dall’altro il fascismo, assenti per la prima volta nella storia delle elezioni del dopoguerra in Italia. La testimonianza della vedova Almirante proveniva da un mondo antico, quantomeno distante dalla politica contemporanea (nel bene e nel male, per dire una cosa politicamente corretta), fatto di passioni, ideologie e identità ispirati a quelle passioni. Un mondo decisamente scomparso, non casualmente in entrambe le sue due manifestazioni antitetiche.

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Il fatto credo sia rilevante, non da sottovalutare. Ma la cosa che mi ha colpito è che la vedova Almirante, nel valutare la scelta dell’attuale dirigenza del partito che ha ereditato, preso in consegna la fiamma, il simbolo fiamma, abbia precisato che si tratta di una scelta dei vertici del partito, che non tiene conto dei sentimenti del suo popolo (non cito testualmente, ma chi fosse interessato può scaricare l’intervista della puntata del 18 febbraio 2008 qui).

Si tratta della gestione dell’eredità simbolica di una comunità in dissoluzione (da un lato “quelli della fiamma”, dall’altro “quelli della falce e martello”) che pare aver definitivamente scelto la strada della rimozione. Si cancellano così, letteralmente, i simboli di una memoria collettiva (2 memorie, per precisione, strettamente connesse tra loro nel loro antagonismo), decisamente un passo verso la modernità della politica. Della politica come sistema di funzione, direbbe qualcuno, ma lasciamo stare. Anche questo si può fare oggi, evidentemente.

Sono però proprio curiosa di vedere come (se) reagiranno quelle genti che la vedova Almirante richiamava.

memorie confuse (lasciamo libero il 25 aprile)

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C’è stato un periodo in cui il 25 aprile – il giorno dedicato al ricordo della Liberazione dal nazifascismo in Italia – è stato messo in discussione: una memoria contesa, dove un evento che qualcuno (tanti) ritengono fondante la Repubblica veniva messo in discussione. No comment. Della serie i revisionismi (questi sì, beceri) sono sempre dietro l’angolo.

Ricordo di una manifestazione a Milano, il 25 aprile, sotto una pioggia battente che mise ko la mia vecchia Nikon. Ricordo di un altro 25 aprile, passato a passeggiare con un gruppo ristretto di ex partigiani sotto le lapidi dei loro compagni uccisi lungo la via Frassinago, camminando e sostando.

Quando ho letto che Beppe Grillo per il secondo V-Day ha scelto il 25 aprile, mi sono veramente irritata. Non ci bastavano i tentati revisionismi, le memorie contese. Adesso dobbiamo fare pure i conti con le memorie confuse. Confondere questa classe/casta politica con i fascisti e i nazisti che hanno devastato l’Europa tra gli anni venti e quaranta del Novecento, mi pare sciocco, superficiale, ridicolo, grottesco, oppure criminale. Lasciate in pace la Resistenza, per piacere. Scegliete un altro giorno per una protesta che ha tutti i diritti di avere uno spazio, un luogo: il suo. Non quello del 25 aprile, giornata per ricordare la liberazione dal nazifascismo in Italia, e tutte le vite che per essa sono andate perdute.


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