Archive for the 'politica' Category

non ci fate ridere

Stamattina ho letto l’editoriale che Alessandro Portelli ha scritto ieri sul Manifesto, dove i posti riservati in metrò sono un sintomo di una farsa che annuncia la tragedia di un degrado culturale su cui c’è veramente poco da ridere. Leggetelo, leggetelo.
Mi sono ricordata le parole dello scrittore Sidran su quel che resta della sua città, Sarajevo, e del suo paese dopo la guerra: “la società civile, non lo stato, è stata distrutta – un fatto tragico, non correggibile, incurabile, un processo storico irreversibile”.
Credo che stia accadendo ora, a noi, senza che ci sia bisogno dei cecchini e delle granate.
Per questo, anche se assistiamo continuamente a boutade di buffoni, c’è veramente poco da ridere.

Visto che non ci fanno ridere, facciamoli smettere. Cominciamo a dire in giro che l’imperatore non solo è nudo, ma è anche un gran brutto vedere.

“non mi fotografate a braccia conserte, per favore…

… è la posa di quelli che comandano, “cuj ca cumandu”.

Ernestina, staffetta partigiana della 42esima Brigata garibaldina, Val di Susa, 25 aprile 2009.
(Articolo di Andrea De Benedetti, Il manifesto, 26 aprile 2009, pag. 3, oggi solo in edicola per chi vuole vedere la fotografia della staffetta Ernestina, e leggere l’articolo).

25 aprile, Festa della liberazione dal nazifascismo (non dai puffi cattivi), festa semmai di Giustizia_e_Libertà, inseparabili.

c’è un modo migliore di fare politica

per riuscire a parlare di politica alla festa dell’unità bisogna varcare la soglia delle cucine.
parlando con un volontario – Augusto – mi sono ricordata che c’è un modo migliore di fare politica.

morti di Reggio Emilia

La polizia – legittimata dal governo dell’epoca – sparò sulla folla dei lavoratori manifestanti nella piazza Vittoria di Reggio Emilia e 5 operai furono uccisi. Sono i morti di Reggio Emilia, era il 7 luglio.
Ma era il 7 luglio 1848, 1912, 1944, 1948 o 1960?
La data precisa di quell’evento mi pare sia la notizia più memorabile del giornale di ieri.
I morti di Reggio Emilia sarebbero un luogo di memoria cruciale per la sinistra italiana. Chissà se se lo ricorda.


Immagine di scioperi coevi ai morti di Reggio Emilia, che fa parte del patrimonio fotografico di Casa Rinascita, San Vito di Modena (sperando ci sia ancora).

Feste de l’Unità addio? La parola ai lettori

L’Unità, dopo aver lanciato il sasso del probabile abbandono del nome “Festa dell’Unità” per la prossima festa nazionale del Partito Democratico, ha aperto sul suo sito uno spazio in cui i lettori possono esprimersi su questa scelta, che appare ormai definitiva.
Cosa pensate, che sia un tema di interesse per i lettori dell’Unità o semplicemente per i frequentatori del sito? Sappiate solo che il primo commento è arrivato alle 15,30 di oggi, e dopo sole sei ore e mezza i commenti riempono 42 pagine (ca 5 per pagina fanno oltre 200 commenti in poco più di 6 ore)!
Vi consiglio di leggerli, un intero popolo fa emergere i suoi sentimenti, la sua delusione, la rabbia, ma anche il desiderio di riappropriarsi della propria storia (attenzione: non del proprio passato), sentimenti che prevalgono in mezzo ai rari commenti favorevoli alla scelta.

Mmm, e noi non facciamo nulla per loro? 😉

Aggiornamento 28 maggio ore 13: i commenti da ieri sera sono raddoppiati, ora sono ben 425 commenti, e suppongo che continueranno a crescere… chissà se produrrà qualche effetto

Aggiornamento bis: non ho resistito, ecco il mio commento: I nomi sono cose serie. Trovo poco nobile, e poco onesto, bollare come nostalgico chi resta legato al nome Festa dell’Unità. Le feste sono una lezione di partecipazione e di cultura politica che ci serve per il futuro, non una tradizione folcloristica di un passato finito. Se non lo capite, lasciate le feste dell’Unità a chi se le merita. In Emilia ci sono ancora. Roberta Bartoletti

Aggiornamento ore 19: i commenti sono già 720, 144 pagine.
Aggiornamento 31 maggio ore 22: i commenti sono ormai 1500, millecinquecento!!!.

una storia, un nome: nostalgia delle feste dell’Unità?

Ecco, una volta tanto sono perfino arrivata prima dell’Unità, che oggi dedica un articolo e un editoriale di Padellaro al destino del nome delle feste dell’Unità. Niente di nuovo rispetto a quanto già vi scrivevo qui, se non il fatto che ne parla direttamente l’Unità, e questo dà un tono di ufficialità al mutamento. Se ne stupisce, e se ne dispiace Antonio Padellaro, non ce ne stupiamo noi, che già l’avevamo intuito.
La festa dell’Unità è quindi destinata a diventare un’iniziativa marginale, un nome in cui alcuni nostalgici continuano ostinatamente a riconoscersi, con cui continuano ostinatamente a designarsi. Una storia, un nome: sì, ma solo per alcuni.

Non leggo l’Unità, non la compro di solito. Scopro quindi dell’articolo dal sito del quotidiano, pochi minuti fa. Non l’avevo ancora letto a pranzo, e non per questo oggi sono andata a pranzo alla Piccola Festa dell’Unità del Navile, uno stand volante per fare polenta, gramigna e crescentine, con 4 file di tavoli e degli ombrelloni per ripararsi dalla pioggia incombente in questo maggio dispettoso. 10 volontari, più o meno, e un’atmosfera da festa dell’Unità. Da pranzo in famiglia allargata, con cibo che ha il sapore delle cose fatte in casa. Cibo che ha significato, tavolata unica senza pretese di forma. Perchè la forma ha sostanza, anche e soprattutto alla festa dell’Unità. Voglio proprio vedere se alla festa democratica nazionale di Firenze, il Democratic Party, si respirerà l’atmosfera della festa dell’Unità, con 17 ristoranti su 18 dati in gestione esterna. Per non parlare dei contenuti. Sono andata a questa piccola festa dell’unità perchè è questa la festa che cerco, non certo per una superficiale nostalgia.

Connotare le residue feste dell’Unità come un fenomeno nostalgico, come fa l’articolo di oggi sull’Unità, mi pare un’operazione veramente poco nobile, al limite dell’onestà intellettuale. Un’operazione ideologica, lasciatemelo dire.
Una proposta, una preghiera: se le feste dell’Unità non vi appartengono più, come state dimostrando, allora lasciate le feste dell’Unità a chi se le merita, a chi riconosce il valore di una storia che non ci parla del passato, ma delle possibilità che ci si aprono nel futuro, grazie alla forza in quello in cui – malgrado voi – ancora crediamo.

una storia, un nome: le feste de l’Unità

La Festa de l’Unità nasce nel lontano 1945 come festa per l’autofinanziamento dell’omonimo quotidiano, e nel tempo si è evoluta come festa popolare del Partito Comunista Italiano, perno fondamentale della sua politica culturale e della sua progressiva trasformazione in un partito di massa. Poi il Pci è diventato Pds, poi Ds, ma la festa dell’Unità è rimasta (più o meno tale).
Nell’estate del 2007, alla vigilia dello scioglimento dei Ds per la fondazione del Partito Democratico, si è cominciato a mormorare che la festa dell’Unità avrebbe cambiato non solo forma ma anche nome. Qualcuno all’epoca ha anche detto cose strane, tipo marchio che funziona non si cambia. Mah.

E’ passato quasi un anno da allora e ancora, francamente, non si è capito un granché sul destino di quel glorioso nome. E dell’esperienza gloriosa, di migliaia di volontari, che stava dietro a quel nome, e gli dava sostanza e valore.
A Ravenna il Pd sta organizzando “la Grande Festa”, mi dicono. A Bologna, la storica festa delle 2 Madonne che inizia il prossimo 23 maggio (24 maggio causa pioggia) si chiama invece “Festa de l’Unità per il Partito Democratico”, e insieme alla Festa dell’Unità di Bentivoglio merita una segnalazione per la chiarezza identitaria. Una grande novità viene invece dal PD di Pesaro, che si è inventato e sta proponendo di chiamare le varie feste del PD con il nome del comune in cui si svolgono. La festa de l’Unità di Pesaro si è così trasformata nella “Festa Pesaro 2008”. Che ideona. La festa di chi? E soprattutto, la festa di che? Il Pd di Pesaro, orgoglioso, scrive sul suo sito: “E il nuovo “marchio” entra nel circuito nazionale. Complimenti. (Nota a margine: ma questo secondo loro sarebbe un marchio?!).
Per non parlare della trovata che ha avuto il Pd di Firenze per il nome della prossima festa nazionale: si chiamerà Democratic Party! 😦

Per piacere, non scherziamo. I nomi sono cose serie.

Scusate il campanilismo, ora, ma mi tocca parlare bene di casa mia. Di Bologna e della sua provincia – una volta tanto coraggiose. Dell’Emilia, anche (vedi Modena). Fiere della loro storia e del loro passato.
Sul sito del Partito Democratico della Provincia di Bologna è stata pubblicata il 19 maggio un’intervista al direttore delle feste dell’Unità, Lele Roveri (l’anno scorso direttore della Festa nazionale). Lele comunica la scelta della provincia di mantenere il nome Festa dell’Unità aggiungendo per il Pd, mentre a livello nazionale ognuno è stato lasciato libero di far quello che vuole. Lasciando spazio agli esperimenti di cui sopra. Che dire: grazie Lele.

Dimenticavo: vi sarei molto grata se mi segnalaste il nome che viene dato alle ex feste dell’Unità nei vostri quartieri, paesi, città… per fare un piccolo censimento di questa diaspora semantica. Grazie!

Ritornano le conversazioni dal basso

E’ ormai un appuntamento fisso, a Pesaro in primavera e a Urbino in autunno.
Domani 9 maggio, dalle ore 10, docenti e studenti dei corsi di laurea in comunicazione dell’Università di Urbino (facoltà di sociologia) conversano con blogger ed esperti di social media. Alcuni di questi blogger sono giornalisti, come Massimo Russo, ormai membro dello staff delle conversazioni dal basso, e Vittorio Zambardino, che abbiamo voluto invitare a tutti i costi, insistendo anche un po’ 😉 , perchè ci parlasse del suo bilancio dell’esperienza di Netmonitor, che abbiamo seguito con passione e divertimento, e che ci è sembrata molto positiva. E molto coraggiosa, ho già avuto modo di scrivere qui. Nella conversazione dedicata al rapporto tra classici media di informazione e social media in relazione all’ultima campagna elettorale italiana oltre a me, loro e agli studenti Thomas ed Edoardo saranno protagonisti Nicola Mattina e Antonella Napolitano, consulenti di comunicazione e social media che hanno lavorato al progetto del Sole24ore, 10 domande.
Che dire: vi aspettiamo!

silenzi/ancora su blog e politica

Può capitare di stare dalla parte delle mondine, dei partigiani, di specie (sociali e culturali) dichiarate in via di estinzione e (forse non a caso) di trovarsi senza rappresentanza in Parlamento. Può capitare in un paese che si chiama Italia.

Capita allora anche questo (in ordine sparso e anche confuso):

– che verrebbe voglia di chiudere il blog. Per una che pensa che scrivere in pubblico significhi prendere posizioni, fare cultura e quindi “fare politica”, il rafforzamento dei partiti più tradizionalmente intesi e assai poco dal basso fa riflettere, e non fa pensare tanto bene.

– che verrebbe voglia di fare davvero politica, sul serio, con un’azione che non si fermi alla comunicazione in pubblico, in rete. Viene, a me, il fondato dubbio che il fare politica con i blog sia un modo per risolvere problemi interiori (desideri di fare qualcosa) senza poi arrivare a fare un accidente, senza cambiare niente.

Visto che pensieri migliori in questo momento non mi vengono (e rispondo qui a Fabio), per questo non avevo ancora detto niente finora. Ma se aspetto pensieri migliori, chissà quanto tempo dovrà passare…

Per questo sono ancora più convinta di prima (questo sì) che il 25 aprile lo passerò insieme alle voci delle “mie” mondine e dei “miei” partigiani. Insieme ai miei antenati insomma, per avere una visione sensata del futuro.

la politica dei blog

Ieri Antonio Sofi era a lezione a Urbino, da Giovanni, a parlare di blog e politica. Non è mio compito né raccontare il seminario, né commentarlo. C’è chi lo farà molto meglio di me.

Voglio solo ricordare una affermazione di Antonio, per me cruciale, che da sola valeva il seminario: scrivere in un blog è un atto politico. Scrivere un blog è politica. Ho sentito che è profondamente vero, per me.

gli antenati di Zapatero

Mentre in Italia alcuni nipoti si dimenticano delle gesta dei loro antenati, Zapatero onora il ricordo di suo nonno, e delle decine, migliaia di repubblicani che hanno lottato nella guerra civile spagnola, e che sono stati perseguitati nei 36 anni della dittatura di Franco.

Del mio unico viaggio nella capitale spagnola, Madrid, il principale ricordo che mi sono portata a casa è quello di aver visitato un paese che sembrava rimasto ibernato all’epoca della guerra contro l’invasione Napoleonica. All’epoca, per intenderci, rappresentata dal celebre quadro di Goya, conservato al Prado. Vedere quel quadro, nel principale museo di Madrid, e uscire nella città, nelle sue strade, nelle sue piazze, era un’esperienza senza soluzione di continuità (non fosse stato per i negozi, gli aperitivi e le strade commerciali). La città tutta unita ricordava la fiera resistenza contro Napoleone, nei monumenti e nei nomi della città. Non un unico riferimento alla guerra civile, la guerra fratricida, la guerra del Novecento che ha portato la Spagna al centro del mondo, che ha portato in Spagna non so quanti volontari, dall’Italia, dalla Francia, fin dal nuovo continente. Anche per questo motivo, lo confesso, Madrid non mi è piaciuta per niente.

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E’ quindi (anche per me) una vera notizia l’approvazione da parte del parlamento spagnolo di una legge che originariamente era chiamata Ley de la Memoria Historica, e che nel travagliato percorso verso l’approvazione si è trasformata nella “Legge attraverso la quale si riconoscono e si ampliano diritti e si stabiliscono misure in favore di coloro che soffrirono persecuzione o violenza durante la guerra civile e la dittatura”. Non è una legge straordinaria, lamentano le associazioni che da sempre di queste vittime e di quei crimini si sono occupati, cercando invano giustizia. Ma è sempre meglio del silenzio che ha fatto parlare, per la Spagna, di un pacto del silencio, e di un pacto del olvido. Oggi, quindi, non è più possibile semplicemente dimenticare.
Rimando al bell’articolo di Maurizio Matteuzzi, che ricorda tra gli altri le parole della scrittrice Almudena Grandes:

“Uno dei più grandi crimini del franchismo è aver provocato uno strappo brutale nella memoria, aver fatto sì che noi nipoti non sapessimo nulla o non potessimo più credere alla vita dei nostri nonni”.

Viva la Spagna, viva Zapatero.

la casa degli antenati

Nei mesi scorsi abbiamo visitato diversi musei etnografici e antropologici, per lavoro e per diletto, tra Italia, Francia e Svizzera. Tra questi, il Quai Branly di Parigi è sicuramente il più strabiliante e il più ammiccante a un pubblico di massa. Ma contiene testimonianze di culture primitive veramente stupefacenti, da lasciare a bocca aperta per la meraviglia.
Tra queste, ricordo ora e qui le case degli antenati – maison des esprit, maison des hommes -, stupefacenti per bellezza ma anche per il concetto, abbastanza diffuso nel mondo primitivo, che esprime la capacità dei vivi di restare in contatto con i propri antenati, di mantenere vivo il contatto tra passato, presente e futuro.

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Ognuno ha i suoi antenati, forse un vantaggio della modernità sta nel poter scegliere i propri: quelli i cui valori e le cui gesta rappresentano le origini da cui ci piace iniziare ad esistere, anche noi.
Partigiani, operai e contadini, uomini e donne. Questi sono i miei antenati.
E la Rinascita di San Vito è una vera e propria casa degli antenati, ma a questo dedico poi il un prossimo post.


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