Sono tornata da tre giornate passate rinchiusa nel bunker Bicocca. Rinchiusa perchè c’erano tante presentazioni da ascoltare, e non c’era molto tempo residuo. Ma rinchiusa soprattutto perchè lo spazio sembra pensato apposta per la reclusione. Non ci sono più gli operai Pirelli, a percorrere viali ed entrare negli edifici. Non c’è più la vita, dura e anche un po’ triste della grande fabbrica del nord, niente è rimasto di quel respiro, di quella cultura, dolorosa ma viva. Ci sono rimasti solo i muri, i corridoi bui, gli spazi oppressivi, e non si capisce nemmeno il perché. Gregotti non è proprio il mio architetto preferito. Mah. E’ riuscito a conservare il peggio di quel mondo, rimasto come vuoto scheletro che ora docenti e studenti si trovano ad abitare, ad animare come possono.
Questa la prima memoria milanese.
La seconda: grazie anche al suggerimento di Mario, ho scoperto che a Milano ci sono ancora ristoranti vecchio stile, dove ti portano porzioni incredibilmente abbondanti. Così poco in sintonia con l’immagine anoressica di una città sacrificata alla moda, al suo lato meno nobile. Una Milano da gustare. Capita così che il ristorante l’Infinito mi ricordi il bolognese Bertino, e il cerchio si chiude.
che strano post.
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