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il velo degli altri

Torno su un tema a me caro, la costruzione culturale del femminile, a partire da un caso montato intorno a un oggetto di consumo.
L’estate scorsa, in un comune alla periferia di Parigi, a una giovane donna musulmana è stato vietato l’accesso in piscina perchè voleva fare il bagno in burkini, il costume da bagno islamico. La ragazza aveva acquistato il burkini a Dubai perchè pensava le consentisse di fare il bagno senza doversi scoprire troppo, nel rispetto dei precetti islamici. Per il gestore della piscina si tratterebbe di un “problema di igiene” (Mary Douglas potrebbe dirci qualcosa al riguardo, e ce l’ha detto), mentre per la ragazza si tratta di una forma di discriminazione, contro la quale pare intenzionata a lottare.
In Olanda, dove un anno fa è accaduto un caso simile a quello francese, il governo ha deciso di non vietare questi costumi integrali, mentre in Svezia alcuni stabilimenti li propongono in affitto, riporta Repubblica.

Il clamore intorno al burkini risuona di altre controversie: in Francia un gruppo di parlamentari si era da poco schierato contro l’uso del burka nel territorio nazionale, ed è di pochi giorni fa il referendum svizzero sul divieto di costruire minareti. In generale notiamo quindi vari segnali di disagio verso i simboli islamici che abitano l’Occidente.
Ma torniamo al burkini: marchio inventato circa due anni fa, si tratta di un costume in tre pezzi che copre capo e corpo, e dal nome possiamo pensare al sostituto di un bikini per donne che portano l’abito tradizionale islamico, e che desiderano un abbigliamento conforme anche per la spiaggia e il bagno. L’unione delle parole burka e bikini non pare particolarmente felice, soprattutto in Occidente dove la parola burka evoca il peggio possibile sull’immagine della donna nel mondo islamico. Giuliana Sgrena commentando un caso di controversia sul burkini a Verona, ricorda le classiche domande che ci si può fare al riguardo.
Se ci concentriamo sull’oggetto, notiamo un esempio di creatività del mercato, che ha inventato il costume da bagno islamico che prima non c’era. L’alternativa era fare il bagno vestite. Ricordo i racconti di mia madre, che faceva il bagno in castigatissimo costume intero con la sua cugina nel mare della Calabria degli anni ’50. Le donne locali, che entravano in mare vestite, le guardavano e le pensavano in molto malo modo.
Da questa prospettiva, molto ristretta, meglio il burkini del burka, se permette di muoversi meglio in acqua. Il burkini consente di segnare una differenza tra il vestito da città e il vestito da mare, sempre nei confini della tradizione islamica (o presunta tale, visto che il Corano non si occupa precisamente di vestiti). E’ un’apertura alla varietà e alla moda (il burkini si presenta in tante versioni colorate o no, con tratti fashion) nel rispetto della tradizione islamica (bel paradosso). Il burkini risponde quindi ad esigenze di una nicchia (non tanto piccola) di consumatori. E’ una ulteriore conquista del mercato.

Se poi ci vogliamo interrogare sulla costruzione del femminile e del suo corpo, sarebbe interessante una bella analisi comparata del burka e del bikini, che sempre più si vede non nelle spiagge ma in televisione.


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