Archivio per ottobre 2007

superluoghi, Abruzzese e Baricco.

A Bologna si sono inventati un festival dell’urbanistica, e quest’anno è dedicato ai superluoghi, nuova parola che rischia di avere lo stesso successo di un’altra, quella tanto abusata di non-luoghi, inventata (almeno lessicalmente) da Marc Augé.
Sono andata a vedere la mostra, allestita in un sottopassaggio che fatica a trovare nuova destinazione dopo esser stato abbandonato dai negozi che fino agli anni Ottanta ancora vi prosperavano. Sostanzialmente vengono mostrati una serie di video-documentari su diversi centri commerciali di nuova generazione, da Catania a Barberino del Mugello, dalla periferia di Bergamo a quella di Roma, ecc. Nessun territorio è risparmiato, direi, dalla proliferazione di questi super-luoghi, dove sostanzialmente si può fare tutto, quindi luoghi saturi, altro che vuoti e transitori. Luoghi che tendono a far collassare tutto dentro di sè, come buchi neri. Le attività, il tempo, la storia. La mostra li definisce “luoghi di successo” – mah.

Vivo a Bologna come un alieno ormai e scopro della mostra grazie a un articolo di Alberto Abruzzese su Alias di ieri, che come al solito dice le poche parole sensate che servono per uscire dalla banalità e dal senso comune (nella sua accezione più bieca). Abruzzese fra l’altro rilancia, proponendo come paradigmatico dei superluoghi non tanto il centro Leonardo presentato dal festival, che ritiene fallimentare, quanto un’altro luogo, Porta di Roma, sempre nella capitale. La qualità dei superluoghi, scrive Abruzzese, sta nel loro superamento della metropoli, intesa come luogo delle identità moderne, anche in conflitto tra loro, e quindi luogo del radicamento e della memoria. L’esperienza che si può fare entrando nell’ipermercato Porta di Roma viene paragonata alla navigazione in rete, qui sembrano esteriorizzarsi “le esperienze interiori dello spettatore cinematografico e del navigatore del cyper space”.
Cito un passaggio lungo, ma che sento vicinissimo alla mia sensibilità: “qui l’architettura è fatta per azzerarsi a fronte di un solo esserci: la decisione di entrare in questo luogo e sottrarsi a ogni altro luogo del tempo e dello spazio. Staccarsi dalla vita prima e abitare una vita seconda. Esperienza possibile solo per un tratto, per una vacanza: ma esattamente come accade nella rete. E come in rete, i visitors vogliono fare community con se stessi o tra loro. Sperimentano una sorta di libertà metafisica. Respirano l’essenza del capitalismo. Provano una forma di aggregazione svincolata dagli obblighi della società. Un esodo senza spirito di patria e condottieri”. Non si meraviglia dunque che i giovani abbiano abbandonato le piazze delle città per concentrarsi qui (non solo i giovani, fra l’altro).
Questa è la vera second life, mi sa. O comunque, questa esperienza fa a pieno titolo parte di quella seconda vita che ormai è la prima, la più potente, indipendentemente dai vari luoghi in cui si realizza.

200px-karl_marx.jpgdefault.gifmakethumb.jpeg
video su YouTube di Porta di Roma

I superluoghi sono i luoghi perfetti per il capitale (sì, proprio quello). Ma sono anche, allo stesso tempo, luoghi di esperienza per i corpi (e su questo Abruzzese ha sempre una lucidità abbastanza rara, di questi tempi).
Cosa c’entra infine Baricco: ma i superluoghi suonano tanto come i luoghi elettivi dei barbari, ovvio, a cui vorrei dedicare almeno un post. Tra poco.

se muoio stanotte

oggi wu ming 1 e wu ming 4 sono venuti da bologna a urbino per parlare del loro lavoro di narrazione collettiva, e in particolare di Manituana.

44a42e6b1a064bf44d574eedb7fddc41.png

Sono state tre ore molto positive, per me, e in segno di ringraziamento segnalo la storia di Ettore, tra i protagonisti del loro penultimo romanzo – “54” – partigiano che ha partecipato alla mitica battaglia di Porta Lame a Bologna. Eccone una traccia sonora qui.
Della serie: parlare degli antenati (ascoltarli) è un modo per riflettere profondamente sul presente (e sulla sua complessità, ci ricordavano i wu ming).

una rete al femminile?

Mentre nella blogosfera si parla di cicli mestruali (io rimando a quanto avevo già scritto qui), vorrei sottolineare una notizia che credo rilevante per chi ha le mestruazioni (le ha avute o le avrà), ma anche per gli altri. Fem-camp docet.
Leggo stamani sul giornale di ieri (i blog non servono a far cronaca, si sa, il mio sicuramente no) che dall’esperienza dell’Associazione Orlando di Bologna nasce dopo un paio di anni di lavoro un motore di ricerca sensibile al femminile: si chiama la Cercatrice di rete, che non ha certo l’ambizione di sostituirsi a Google, ma intende integrarlo offrendo un filtro che osserva le informazioni in rete da un punto di vista femminile, o è attento alle tematiche del femminile (dalla violenza sulle donne come forma specifica della violenza all’empowerment delle donne attraverso le tecnologie, o tutto il resto che vi viene in mente). Ne parlano Marzia Vaccari e Federica Fabbiani nell’articolo di Francesca Martino. Marzia dice: “i consigli che offre la cercatrice sono tratti da Linguaggio-Donna, un repertorio linguistico messo a punto nel 1991 dai centri di documentazione delle donne, quando il problema era diventare visibili nei cataloghi delle biblioteche e degli archivi, nei quali cercare tematiche femminili per soggetto è un’impresa impossibile”.
Che dire, bisognerà provarlo (è un consiglio), e magari confrontarsi su quello che produce questo modo di cercare al femminile.

secret2006.gif
Annette Messager, Secret, 2006

prima prova: se la cercatrice cerca con la chiave “mestruazioni” il risultato di oggi è questo qui. Il primo risultato della ricerca è un articolo del blog Mondodonna sulla pillola che elimina il ciclo, che – coincidenza – coincide con il mio post sul ciclo di cui parlavo all’inizio. Beh, come prima prova son soddisfatta.

antenato ciclostile

ho letto questa parola – ciclostile – qualche giorno fa e continua a frullarmi nella mente.
che tenerezza.
era una parola che non sentivo pronunciare da secoli.
non potevo non dedicare un piccolo articolo a questo oggetto di memoria. oggetto da museo. assolutamente démodé.
vorrei un blog che tra i suoi antenati può vantare un ciclostile. si può?

la festa è finita

ma no, dai! continua ad aprile 2008, me l’ha promesso Fabio.
Ieri si è però conclusa una tappa significativa delle conversazioni dal basso: la caccia al tesoro (difficilissima: non ho potuto giocare perchè condividendo la stanza con Fabio e Luca avevo troppe tracce, mica vero, non ho capito molto neanche adesso). Si è concluso anche il festival con la consegna dei blog awards, altra scommessa: ma evidentemente ci piace fare le cose difficili (candidature dal basso e selezioni dal mezzo).
Il mio bilancio: mi sono divertita molto, durante la caccia al tesoro (basta vedere quante foto ho fatto, ne ho caricate 52 55 su Flickr), soprattutto grazie alla squadra 6, che non ha vinto ma era veramente simpaticissima. L’abbiamo un po’ tallonata, insieme a Lele (che forse si merita una foto di una scarpa per la simpatica compagnia), Massimo e Barbara, come si intuisce da qualche foto.

squadra6_1.gifsquadra6_2.gif

Mi sono divertita anche durante la lettura dei blog candidati, non sempre, ma ho fatto scoperte veramente interessanti: credo continuerò a seguire Elastigirl (che finora non aveva mai vinto, dice, nemmeno un pelouche alla festa dell’Unità), e non mi stupirei di vedere un giorno un bel libro che raccoglie le sue storie quotidiane*. Ho fatto i miei complimenti (per quel che vale) a Gianluca, il cui blog era quello con maggior punteggio nella mia paletta nella categoria azienda e marketing. Dimenticavo le gatte: sempre fierissima dei nostri Kinder, anche quando ormai sono assai cresciuti come loro.
Poi, ho conosciuto o conosciuto meglio persone di cui leggo, più o meno assiduamente, i blog, e questo è sempre bene: in particolare contenta di aver incontrato Valentina, certa che questo è solo l’inizio, e di aver prestato la macchina (fotografica, quella vera) ad Antonio, che se mi manda un indirizzo postale forse riceverà qualche immagine su carta (quella vera).
I ringraziamenti: ha già fatto tutto boccia, io confermo il mio supporto anche per l’edizione prossima, e ho già fatto una piccola proposta. La sfida è quella di continuare a fare le cose seriamente senza prendersi troppo sul serio.

scambi simbolici di figurine rosse

Mentre il più grande partito della sinistra italiana si preparava a dissolversi – ossia: alla vigilia delle primarie del Pd – il manifesto ha portato in edicola la sua ultima trovata irriverente e finanche un po’ eretica. Autoirriverente, dato che il quotidiano insiste a definirsi nel sottotitolo comunista.

album_sx.jpg

Oggi, con un paio di giorni di ritardo, sono andata dal mio giornalaio per prendere una copia di Album di famiglia, l’album di figurine rosse. Sottotitolo: comunisti, anarchici, socialisti e altri rivoluzionari che, nel bene e nel male, hanno cambiato il mondo. Vedo se ne ho ancora, mi dice Massimo (il mio edicolante). Cosa vorresti dire, che è andato a ruba? (mi stupisco io). Beh, tutti quelli che hanno comprato il giornale, l’hanno preso (deduco che sono molti meno di quelli che ieri a Bologna sono andati a votare alle primarie). Peccato, perchè avendo preso l’album mi si pone un problema: con chi potrò scambiare le figurine doppie?
L’ultima figurina che mi ricordo di avere incollato era un oscuro animale marino, che andava a ricoprire quasi perfettamente un buco bianco in un fondale scuro. Per non parlare di altre figurine ancora meno memorabili. In realtà “le figurine” sono quelle dei calciatori, che se ne vedo ancora una degli anni ’70 riconosco le facce, le divise tutt’altro che griffate. Che tenerezza.

3976.jpg b64.jpg
La rilevanza di questo album di famiglia per la memoria è sottolineata da Valentino Parlato in un piccolo intervento di ieri. Che dimostra come si tratti di una storia seria, oltre le apparenze.
Scrive Parlato, sollecitato dall’affettuoso epiteto di “ereticissimi compagni” che alla fine condivide: “ancora cinquant’anni fa queste figurine erano immagini non proprio sacre, ma meritevoli di enorme rispetto. Insomma l’eresia c’è e a uno della mia generazione il tutto appare un po’ blasfemo”, per poi aggiungere che forse una tale eresia non poteva che essere compiuta da dentro, in un momento in cui ricordare il passato, anche in modo autoironico, può essere utile in un “presente che rischia di galleggiare nel vuoto della memoria”.
Le figurine degli uomini che hanno cambiato il mondo, riconosciuti come antenati da alcuni (sottolineo da alcuni), sono quindi un luogo di memoria di cruciale importanza non per il passato, ma per il presente.
In secondo luogo, le figurine vanno sì incollate (appiccicate), sul proprio album, ma fa parte del gioco la necessità di scambiarle, di trovare quindi altri possessori di album, altri compagni della stessa famiglia, con cui scambiare: il gioco è necessariamente collettivo. La figurina è un quasi-oggetto, direbbe qualcuno.
Ultima riflessione, implicita nelle parole di Parlato: possibile che la famiglia per ritrovare le sue radici debba andare in edicola e sborsare 0,90 euro per 5 figurine? Ma chi mi conosce, sa che questa domanda me la sono posta già tante volte, che ci ho perfino scritto un libro

rosa1.jpg

Finito il post, finalmente ho aperto la mia prima bustina, non potevo credere ai miei occhi quando ho visto il profilo notissimo di Rosa Luxemburg (1871-1919). Voglio prenderlo come un segno del destino. Per ora non posso che continuare la raccolta, e cercare qualcuno con cui scambiare le figurine doppie, anche attraverso il blog.

rosa_album.gif

Aggiornamento ore 17.41: ho attaccato la prima figurina nell’album, Rosa Luxemburg, riconosciuta come antenata in quanto “polacca, comunista, donna, ebrea: il “peggio” per la Germania di allora. Dirigente della sinistra Spd. Incarcerata per il suo no alla guerra, assassinata – con il benestare dei suoi ex compagni di partito – per aver tentato la rivoluzione. Da leggere Centralismo o democrazia?

nausea da blog

dopo aver letto oltre 200 blog diversi – mi gira la testa e vedo triplo – mi preparo a tornare a Urbino, per vedere se esistono davvero, ‘sti blogger: e se, oltre a scrivere (ma quanto/i scrivono?!), fanno anche cose normali tipo giocare, mangiare, parlare, ecc.
Domani caccia al tesoro e domenica mattina (ma guarda te se non avevo niente di meglio da fare di domenica) blog awards. tutto per un coniglio (in realtà, 10 conigli). e qualche intervista, mi dicono. io però domani allora faccio la blogger, così almeno mi riposo, rispondo solo alle domande della Gemini. data la faticaccia di questi giorni, ho persino le occhiaie = physique du rôle. e faccio qualche foto, ovvio.

roberta_fotografa.gif

ps: lo so, post inutile, ma … volevo vendicarmi un po’.

roberta-exfotografa.gif

un museo della memoria per Buenos Aires

Un amico si lamenta che i miei post sono troppo tristi. Poi mi segnala questo articolo (della serie “non sappiamo cosa vogliamo”) ed ecco questo post che ben si colloca sulla scia dei precedenti.

In questi giorni l’esercito argentino ha finalmente consegnato alle autorità civili gli edifici che ospitavano la Scuola tecnica della Marina (l’Esma). Da qui durante la dittatura partivano gli squadroni militari che sequestravano gli oppositori politici, qui sono stati imprigionati, torturati e uccisi più di 5.000 dei 30.000 desaparecidos. La maggior parte di loro venne gettata nel Rio della Plata in quelli che si chiamarono “i voli della morte”. Qui ancora venne allestito in quegli anni un piccolo ospedale con un reparto maternità clandestino, dove i militari attendevano che le ragazze incinte sequestrate portassero a termine la gravidanza per sottrarre loro i bambini, che venivano affidati a famiglie di militari o poliziotti, prima di ucciderle.
Gli edifici dell’Esma sono quindi particolarmente adatti ad ospitare il “Museo della memoria” che aprirà all’inizio di novembre, che si affianca al già esistente Parco delle memoria, di cui ho già parlato qui e a cui dedicherò un prossimo post. Per realizzare il museo, che fa parte del progetto “topografia della memoria”, i familiari dei desaparecidos hanno messo a disposizione documenti, foto e oggetti personali.

La costruzione del museo è stata decisa nel 2004 dal presidente argentino Kirchner e dal sindaco di Buenos Aires in occasione del 28° anniversario del golpe del 1976. Nel 1998, l’allora presidente argentino Carlos Menem (1989-1999) intendeva demolire gli edifici dell’Esma per creare al suo posto un grande parco, con un monumento dedicato alla “riconciliazione” del popolo argentino, leggo qui. Ma i gruppi per i diritti umani si erano opposti alla demolizione ottenendo un’ingiunzione che ha bloccato l’attuazione del decreto, anche se la Marina aveva continuato a occupare gli immobili. Le pressioni delle organizzazioni per i diritti umani hanno poi portato il governo a sfrattare la Marina dall’ESMA da quei 19 ettari di terreno su cui sorgono 15 edifici.
Un museo è una tipica oggettivazione della memoria culturale, così l’Argentina esplicita una politica della memoria, coerente con un desiderio di giustizia esplicitato dalle recenti azioni giudiziarie contro i responsabii dei crimini della dittatura. Mentre infatti Menem intendeva demolire gli edifici dell’Esma (cancellarli), le “leggi sull’obbedienza dovuta” e le amnistie del 1986 e del 1987 hanno bloccato la persecuzione dei crimini commessi durante la dittatura, per molti, troppi anni.

Che finalmente si faccia giustizia, mi pare una notizia affatto triste.

free burma!


Free Burma!

info qui

regala un coniglio parlante…

…e lampeggiante al tuo blogger preferito. Fino al 10 ottobre potete segnalare un blog al festival di Urbino, per informazioni ecc. clicca qui

coniglio_small.gif

Post Scriptum: il festival dei blog di Urbino non è una pataccata né una trovata del marketing, bensì è il secondo momento di riflessione (e gioco) a partire dai blog organizzato dal gruppo di ricerca LaRiCA della facoltà di sociologia dell’Università di Urbino, che segue il workshop di aprile 2007, tutto sotto il nome Conversazioni dal basso. Non si era capito?

il diritto di essere ascoltati

Ho letto uno stralcio della relazione che Alessandro Portelli ha tenuto a un convegno alla Biblioteca nazionale di Roma il 29 settembre scorso. Per chi non lo sapesse, Portelli, americanista, ha scritto uno dei più bei libri di storia orale italiana, per quel che mi riguarda, sulla strage delle Fosse Ardeatine. E’ quindi un testimone autorevole, quando si parla di memoria e in particolare di memoria popolare.
Nella sua relazione afferma una cosa che credo sia molto importante, in relazione alle cosiddette culture immateriali, ossia a quelle forme della cultura che non si materializzano in oggetti o testi, “ma nella possibilità socialmente diffusa di crearli o rievocarli”. Il cambiamento è innato in queste forme culturali, al di là dei luoghi comuni sulla loro stabilità e immutabilità, poiché la loro incessante ripetizione non è mai tale, mai identica a se stessa (cambia con la vita). Così come la memoria stessa è soprattutto un processo: “non un deposito di dati in via di progressivo disfacimento, ma una perenne ricerca di senso nel rapporto con il passato e nel riuso dei repertori culturali”.
La cosa credo cruciale che afferma Portelli è che la tutela di queste culture, così fragili nel loro affidarsi all’oralità, non sta tanto negli archivi e nelle registrazioni – seppur utili, necessaria forma di riconoscimento: la tutela di queste culture sta nel diritto di parola, e nel diritto all’ascolto, che si riconosce alle persone e ai gruppi che hanno creato e continuano a far vivere quelle culture. Bello, no?

Ps: ho scoperto proprio ora che Alessandro Portelli ha un blog, che non può non entrare nel mio blogroll…


DasBuch

Flickr Photos

Creative Commons License
Immagini e testi in questo blog, ove non specificato diversamente, sono pubblicati sotto una Licenza Creative Commons