A Bologna si sono inventati un festival dell’urbanistica, e quest’anno è dedicato ai superluoghi, nuova parola che rischia di avere lo stesso successo di un’altra, quella tanto abusata di non-luoghi, inventata (almeno lessicalmente) da Marc Augé.
Sono andata a vedere la mostra, allestita in un sottopassaggio che fatica a trovare nuova destinazione dopo esser stato abbandonato dai negozi che fino agli anni Ottanta ancora vi prosperavano. Sostanzialmente vengono mostrati una serie di video-documentari su diversi centri commerciali di nuova generazione, da Catania a Barberino del Mugello, dalla periferia di Bergamo a quella di Roma, ecc. Nessun territorio è risparmiato, direi, dalla proliferazione di questi super-luoghi, dove sostanzialmente si può fare tutto, quindi luoghi saturi, altro che vuoti e transitori. Luoghi che tendono a far collassare tutto dentro di sè, come buchi neri. Le attività, il tempo, la storia. La mostra li definisce “luoghi di successo” – mah.
Vivo a Bologna come un alieno ormai e scopro della mostra grazie a un articolo di Alberto Abruzzese su Alias di ieri, che come al solito dice le poche parole sensate che servono per uscire dalla banalità e dal senso comune (nella sua accezione più bieca). Abruzzese fra l’altro rilancia, proponendo come paradigmatico dei superluoghi non tanto il centro Leonardo presentato dal festival, che ritiene fallimentare, quanto un’altro luogo, Porta di Roma, sempre nella capitale. La qualità dei superluoghi, scrive Abruzzese, sta nel loro superamento della metropoli, intesa come luogo delle identità moderne, anche in conflitto tra loro, e quindi luogo del radicamento e della memoria. L’esperienza che si può fare entrando nell’ipermercato Porta di Roma viene paragonata alla navigazione in rete, qui sembrano esteriorizzarsi “le esperienze interiori dello spettatore cinematografico e del navigatore del cyper space”.
Cito un passaggio lungo, ma che sento vicinissimo alla mia sensibilità: “qui l’architettura è fatta per azzerarsi a fronte di un solo esserci: la decisione di entrare in questo luogo e sottrarsi a ogni altro luogo del tempo e dello spazio. Staccarsi dalla vita prima e abitare una vita seconda. Esperienza possibile solo per un tratto, per una vacanza: ma esattamente come accade nella rete. E come in rete, i visitors vogliono fare community con se stessi o tra loro. Sperimentano una sorta di libertà metafisica. Respirano l’essenza del capitalismo. Provano una forma di aggregazione svincolata dagli obblighi della società. Un esodo senza spirito di patria e condottieri”. Non si meraviglia dunque che i giovani abbiano abbandonato le piazze delle città per concentrarsi qui (non solo i giovani, fra l’altro).
Questa è la vera second life, mi sa. O comunque, questa esperienza fa a pieno titolo parte di quella seconda vita che ormai è la prima, la più potente, indipendentemente dai vari luoghi in cui si realizza.
video su YouTube di Porta di Roma
I superluoghi sono i luoghi perfetti per il capitale (sì, proprio quello). Ma sono anche, allo stesso tempo, luoghi di esperienza per i corpi (e su questo Abruzzese ha sempre una lucidità abbastanza rara, di questi tempi).
Cosa c’entra infine Baricco: ma i superluoghi suonano tanto come i luoghi elettivi dei barbari, ovvio, a cui vorrei dedicare almeno un post. Tra poco.
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