Sentieri della memoria: camminare per ricordare

Ieri mi è capitato tra le mani un libro, più precisamente una guida per camminatori. “Sentieri partigiani in Italia”, si intitola, sottotitolo “A piedi su alcuni dei più bei percorsi della Resistenza”. L’ho presa perchè A., l’amica che era con me in libreria, è una grande camminatrice e da tempo tenta di farmi attraversare l’Appennino a piedi. “Pensa cosa si prova, a ripercorrere quei sentieri, cosa si può sentire”. Io mi chiedo chissà cosa vorrebbero farci ricordare. La guida è abbastanza esplicita, in realtà – la fuga degli ebrei italiani verso la Francia, le battaglie partigiane, i campi di prigionia, gli eccidi nazisti nelle comunità montane: luoghi di memoria collettiva dell’Italia, o almeno di quella parte di Italia che riconosce nella Resistenza un atto fondativo, un vero e proprio mito storico. Camminare è un modo di ascoltare, propone l’autore Diego Marani nell’introduzione, e camminare su questi sentieri della memoria è un nuovo modo di ricordare che da alcuni anni è stato inventato. Proprio nel momento in cui la scomparsa delle memorie vive (insieme al proliferare delle commemoriazioni ufficiali) rischiava di far dimenticare.
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PS: la prima volta che ho sentito parlare di sentieri partigiani era l’estate 2004, e da lì ho iniziato a ragionare sul turismo della memoria. Si trattava di camminate accompagnate da testimonianze partigiane nell’Appennino reggiano, organizzate dall’Istituto per la storia della Resistenza; la 13° edizione dei Sentieri Partigiani si terrá dal 6 al 9 settembre 2007.

15 Risposte to “Sentieri della memoria: camminare per ricordare”


  1. 1 Michele marzo 25, 2007 alle 10:29 PM

    Salve professoressa,
    solo una piccola nota… Queste sono parole che mia nonna ogni volta che torniamo nella sua casa natale a Badia di Cagli (sulla cima di un monte lontano dal mondo) mi ricorda con le lacrime agli occhi…

    Sicuramente la guerra era già giunta al termine, i tedeschi stavano ritirandosi verso le vie di fuga. A quel tempo Tina, questo il nome di mia nonna, aveva circa 20 anni.
    Di lì a poco si sarebbe sposata, aspettava la fine della guerra!!!
    La sua casa, due stanze una delle quali era la stalla, era proprio sulla cima di una strada di montagna che mal si prestava al cammino… piena di buche che il carretto mal sopportava.
    Il bello delle montagne è quello di avere sotto gli occhi una distesa, una vallata ricca di silenzi. Ma quel giorno i partigiani, che vivevano nascosti fra gli alberi, furono presi.
    Si! Quei partigiani che per un pezzo di pane proteggevano la nostra terra furono presi!
    Non li conoscevo – mi dice la nonna – non ho mai chiesto il loro nome, io dovevo lavorare la terra e badare le bestie.
    I tedeschi erano una decina, con fucile in spalla. Quei poveri partigiani solo quattro.
    Difronte alla casa una fonte d’acqua e una piazzola. Fu lì che i quattro vennero giustiziati, proprio vicino la sorgente, alle spalle della vallata.

  2. 2 Roberta Bartoletti marzo 25, 2007 alle 11:05 PM

    Il sentiero della memoria di Michele (e della sua nonna TIna) porta a Badia di Cagli. Michele, tu non hai bisogno di una guida per ricordare camminando.

  3. 3 Fabio marzo 27, 2007 alle 1:23 am

    Camminare per ricordare e anche per dimenticare a volte. Camminare ha comunque una relazione con la costruzione che noi facciamo del mondo intorno a noi. Allora “camminando” dentro la memoria delle cose lette ricordo Robert Walser che passeggia e guarda; ma anche Peter Handke che passa il suo pomeriggio caamminando per riordinare le proprie idee. Pure Taniguchi, fumettista giapponese, fa camminare i suoi personaggi all’interno di percorsi che li riconducono ad un senso più profondo dell’essere viventi, pensanti. Camminare è azione del corpo nel mondo, ci fa capire innanzitutto il corpo in relazione al mondo. Camminando molti tentano anche di cambiare il mondo: sfilando uno dietro l’altro chiedendo a viva voce che venga rispettato un diritto. Così Rebecca Solnit nelle sua “storia del camminare” (Bruno Mondadori2002) ricorda le camminate nel Nevada nel tentativo di fare sospendere gli esperimenti nucleari. Camminare rende mobile il corpo ma per fermarne un proprio senso in relazione al mondo. Il corpo si sposta, il mondo cambia ma io resto io. Talvolta, nei sentieri della memoria, il camminare può quindi diventare un modo per non dimenticarsi. Non è il sentiero in sé è ovvio, ma l’occasione del camminare lungo i sentieri che permetto alla memoria di restare e di essere condivisa in chi cammina.
    Allora camminare lungo questi percorsi – i sentieri della memoria – ha un valore simbolico. Cerchiamo di riconnetterci ad un qualcosa che non c’è più. E che sentiamo allontanarsi come valore. Che per la verità, per generazione e per fortuna, mai abbiamo conosciuto direttamente: la resistenza. C’è qualcosa in questo camminare nel regno del simbolico che ricorda anche il deambulare aborigeno: paesaggio e narrazione si fondono. I sentieri sono strumenti di navigazione nell’appennino mentre il paesaggio intorno è un dispositivo per ricordare le storie che vi sono avvenute: la storia è la mappa-sentiero, il paesaggio la narrazione. Le storie dunque sono viaggi e i viaggi sono storie. E’ perchè immaginiamo la vita come un viaggio che queste camminate simboliche, e in realtà tutte le camminate, hanno tanta risonanza.

    • 4 alberto marzo 8, 2013 alle 10:01 am

      Gent. mo Fabio, quanto detto è al centro dei miei interessi e vorrei coinvolgere altre persone su questo percorso.
      Vorrei organizzare qualcosa in tal senso.
      Sentiamoci !
      Alberto

  4. 5 Michele marzo 27, 2007 alle 9:18 PM

    Come molti viaggiatori ho visto più di quanto ricordi e ricordo più di quanto ho visto.
    Benjamin Disraeli

    Finalmente ho trovato la frase che ho tanto cercato!!! Ed ora come non mettere a confronto memoria, identità e turismo?!?!?

  5. 6 Roberta Bartoletti marzo 27, 2007 alle 10:20 PM

    Il camminare come modo per non dimenticarSI, o per ritrovarSI.
    Questo è il punto, che sia attraverso il ricordo della Resistenza, o il ritorno alla città natale, o ll’uomo che cammina di Taniguchi (ricordo un’altra storia, sempre a fumetti, di Camminatori, quella di Otto Gabos), non importa.
    Gli aborigeni australiani ogni tanto spariscono dai luoghi di lavoro, si raccontava non mi ricordo se in un libro o in un film. Lo racconta Chatwin: si liberavano dei loro abiti di lavoro e sparivano nel nulla, senza ragione e senza preavviso. Erano in walkabout, partiti per un camminare rituale, ripercorrono il sentiero lungo il quale gli antentati hanno creato il mondo con il loro canto. In quel camminare mitico c’è forse il senso del nostro camminare per ricordare.

    Un amico leggendo dei sentieri della resistenza in appennino ha pensato anche ai pellegrinaggi religiosi (tipo il cammino di Santiago di Campostela, non a caso l’autore della guida citata ne ha dedicata altre due proprio a questo cammino): via mail mi scrive che camminare è un modo di ascoltare, sì, ma soprattutto di ascoltarSI. Attività sempre più rare, l’ascoltarsi e il camminare. Mi ricorda infine che si cammina lenti alla Via Crucis di Monte Sole (luogo di memoria del più grave eccidio dei nostri monti, nell’Appennino bolognese) “il venerdi santo, dove memorie di guerra e la passione di Cristo convivono in una atmosfera toccante” (cito le sue testuali parole).

  6. 7 giulia caramaschi marzo 28, 2007 alle 7:26 PM

    Segnalo, dal domenicale del Sole 24 ore di domenica, il libro di Avishai Margalit, L’etica della memoria. L’autore avanza un’ipotesi sul rapporto fra memoria e morale: la ricostruzione di memorie collettive sulle quali si basa anche il sentimento identitario di una comunità non sarebbe morale, perché appartenente ad un ambito profondo dell’esperienza umana (Margalit lo chiama l’ambito delle relazioni spesse, quindi più coinvolgenti e intense) che ha a che fare con conflitti e pulsioni che, non sempre vale la pena di lasciare riaffiorare.
    “La memoria suscita vendetta tanto spesso quanto suscita riconciliazione, e la speranza di raggiungere una catarsi attraverso la liberazione dei ricordi potrebbe rivelarsi un’illusione…”.
    Così pensata, la memoria sembra esplicitarsi come un qualcosa di potenzialmente pericoloso, e quindi da controllare, da indirizzare, da guidare, attravesro la comunicazione e i suoi mezzi (e la morale è uno di questi).

  7. 8 Simona aprile 10, 2007 alle 4:17 PM

    Pubblicazione molto interessante. Amo camminare e sono molto legata a queste Memorie. Grazie.

    Simona

  8. 9 vito dicembre 14, 2007 alle 9:40 PM

    Egregia Professoressa
    sono uno studente dell università di Bologna sede di Rimini presso il corso di laurea Di economia e gestione dei servizi turistici.

    Visto e considerato che sto scrivendo il mio elaborato finale sul Turismo della memoria, parlando di luoghi di sterminio, campi di concentramento e per poi finire sullo sbarco di Normandia, volevo chiederle se poteva consigliarmi dei libri dove poter trovare del materiale.

    Tra l altro vorrei fare una distinzione tra il turismo della memoria e il dark tourism(spesso le due tipologie non vengono separate).

    Cordialmente Vito

  9. 10 Roberta Bartoletti dicembre 15, 2007 alle 11:47 am

    gent.mo vito,
    credo che il mio ultimo libro “Memoria e comunicazione” (e relativa bibliografia) possa esserti d’aiuto a cogliere il legame tra il ricordare come bisogno incarnato e la sua valorizzazione economica nelle forme del turismo della memoria. In particolare la parte legata alla crisi della memoria e alla nostalgia (cap. 2) e l’analisi di alcuni casi concreti, nel capitolo 4, dove definisco cosa intendo io per turismo della memoria, possono esserti utili. Ti mando anche via email un breve articolo uscito su una rivista online, su questi temi, che è più divulgativo.
    Sul “turismo della memoria” sinceramente non mi pare ci sia scritto granché di sistematico, anche se io ci sono arrivata attraverso una letteratura sociologica e antropologica, e non economica (ma anche nella letteratura sul marketing ad esempio il tema della memoria è sostanzialmente inesistente, nell’accezione in cui serve per comprendere il turismo della memoria). Magari negli scritti economici trovi qualcosa che a me è sfuggito.

    Se per dark tourism intendi il turismo sui luoghi del disastro, se ne è occupata la mia collega che insegna sociologia del turismo all’università di Urbino, Laura Gemini, e ti consiglio di chiedere direttamente a lei, il suo blog è nel mio blogroll: http://incertezzacreativa.wordpress.com
    Secondo me il fenomeno del turismo della catastrofe va letto in un frame differente rispetto al turismo della memoria, perchè non ci sono memorie incarnate da riattivare, ma grandi emozioni legate ad eventi catastrofici che sono osservati e vissuti come forme spettacolari.

    buon lavoro, ma a questo punto poi mi piacerebbe sapere come va a finire 🙂

  10. 11 vito gennaio 9, 2008 alle 2:13 PM

    Egregia professoressa, la ringrazio tanto per la sua risposta e mi scusi per averle risposto solamente adesso (ma fortunatamente sono appena tornato dalla normandia).
    Volevo sapere se il suo libro posso trovarlo anche in libreria o fosse possibile comprarlo anche direttamente su internet?

    Per quanto riguarda quei articoli non ho ricevuto niente, e mi chiedevo se fosse possibile per lei inoltrarmeli.

    Si per dark turisme io intendevo il turismo macabro, http://www.grief-tourism.com , ma sopratutto questo sito: /www.dark-tourism.org.uk.

    La ringrazio ancora una volta, cordialmente Iuzzolino Vito

  11. 12 Giuseppe febbraio 13, 2008 alle 11:14 PM

    Blog piacevole e stimolante, grazie! Sono fortunatamente inciampato nella tua pagina ricercando consigli su itinerari -a piedi- di memoria “autentica” nell’Italia centrale, chiedendomi in che misura siano disponibili. Ho poi letto il tuo articolo su Golem. Mi sono accorto che voglio arrivare ad un Porquerolles ed evitare Heidiland a tutti i costi :-)) Leggendoti, il mio desiderio di consigli ed esperienze per evitare Appenniniland e’ divenuto ansia ! Ti sei poi arresa alla tua amica A e hai attraversato l’Appennino a piedi ? Dove ? links? grazie ! Cordiali saluti. GD.

  12. 13 Roberta Bartoletti febbraio 15, 2008 alle 12:10 am

    @Giuseppe: grazie a te. Non ho ancora ceduto alle insistenze di A., ma posso dirti che il percorso che lei ha fatto varie volte porta da Bologna a Firenze a piedi, ed è un antico sentiero che è stato recentemente ricostruito/ritrovato che si chiama “via degli dei” su cui puoi trovare qualche notizia qui: http://www.volipindarici.it/appunti/bo_trekking/index.htm oltre che sulla guida che è stata fatta.
    Buon attraversamento!

  13. 14 ornella dicembre 10, 2008 alle 7:52 PM

    Gentile Prof.sa Bartoletti,
    anche io come Vito mi ritrovo qui spinta a cercare info e spunti di ricerca su un argomento che mi appassiona tanto e che da qualche mese è diventato oggetto della mia tesi di laurea!Sto per laurearmi in Organizzazione e gestione del patrimonio culturale presso l’università degli studi di napoli Federico II, dopo aver conseguito la laurea triennale in amministrazione dei beni culturali presso lo stesso ateneo. Non le scrivo dei miei studi come se stessi inviando un curriculum vitae ma solo al fine di farle comprendere verso quali aspetti è indirizzato il mio elaborato finale. So bene che non c’è una letteratura di riferimento in merito al turismo di memoria, ma volevo un suo consiglio per presentare in maniera esaustiva il fenomeno!in attesa di una sua risposta le invio i miei più cordiali saluti..
    Ornella


  1. 1 NON DIMENTICHIAMOLI MAI « Ammoniaka street team Trackback su aprile 24, 2010 alle 1:41 PM

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