Archive for the 'memoria collettiva' Category

grandi madri operaie

Non ci sono parole per commentare il lavoro di Brian Griffin, sono troppo potenti le immagini.

Eccole (alcune).

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Woman Chainmaker, Cradley Heath, UK 2010.

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The Black Kingdom, 2013

Edith Griffin. Operaia di fonderia

Non solo grandi madri:

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La mostra è attualmente a Bologna, atterrata da Marte.

 

memoradiofoniche

MEMORADIO è un progetto di radio 3, che festeggia il primo maggio con documenti sonori sul primo maggio, testimonianze di conquiste e di vite di lavoratori. radiodocumentari su mondine, lavoratori del marmo, della fabbrica, voci di sindacalisti, poeti e persino del papa.

la memoria della memoria

a cosa serve la giornata della memoria? a ricordare cosa? a ricordare di ricordare?
La giornata della memoria è una data europea, e come giorno è stato scelto quel 27 gennaio in cui vennero aperti i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz, il giorno della liberazione del campo, della scoperta ufficiale e definitiva, della conta dei morti e dei sopravvissuti…
Oggi sul Manifesto si ricorda che forse la scelta della data implica un rischio, non solo quello di risolversi in una ulteriore commemorazione. A volte si commemora per dimenticare. In questo caso per dimenticare, o meglio rimuovere, le origini e l’inizio, ossia proprio quello che bisognerebbe ricordare per evitare che accada di nuovo. L’origine del nazifascismo, l’origine e le radici del razzismo. La giornata della memoria dovrebbe ricordarci di ricordare la storia (di studiarla), in modo da essere pronti, maggiormente pronti per il futuro.
Forse oltre a ricordare la liberazione del campo di Auscchwitz, sarebbe allora bene ricordare come tutto è cominciato, come è stato possibile. Per rintracciarne eventual tracce nefaste nel presente.

yo que soy americano/a

C’era una volta un cantautore americano, che scriveva ballate, e c’era una volta una canzone, intitolata This land is your land: questa terrà è la tua terra.

This land is your land, this land is my land
From California, to the New York Island
From the redwood forest, to the gulf stream waters
This land was made for you and me

C’era una volta la crisi del 1929, le file di disoccupati davanti agli uffici di collocamento, c’era una volta Woody Guthrie che, indignato dello stato di vita degli americani, dei più deboli e colpiti dalla crisi, negli anni ’40 scriveva questa canzone e queste strofe.
C’era una volta una strofa di questa canzone, che fu cancellata. Rimossa e dimenticata. Perchè osava ricordare cose che andavano dimenticate.

As I was walkin’ – I saw a sign there
And that sign said – no tress passin’
But on the other side …. it didn’t say nothin!
Now that side was made for you and me!
*

C’è oggi un vecchio cantante folk americano, un più giovane cantante rock americano e un ancora più giovane Presidente americano e questa strofa è stata nuovamente ricordata, e cantata ad alta voce al Lincoln Memorial, di fronte a migliaia di “you and me”.

In una terra in cui i governanti, di fronte alla crisi e alla sofferenza che la crisi annuncia alla gente reale, pensa soltanto di incatenare tramvieri ai loro sedili, alunni delle elementari ai loro seggiolini, tentando di far dimenticare a tutti la strofa più importante della canzone, io sogno di essere americana. No importa de que pais.

*Nelle piazze della citta
all’ombra del campanile
all’ufficio di collocamento
ho visto la mia gente
Mentre stavano lì affamati
io mi domandavo
se questa terra fosse fatta per te e per me.

E mentre camminavo
un cartello mi fermò
c’era scritto: “proprietà privata”.
Ma dall’altro lato
non c’era scritto nulla.
Questo lato è stato fatto per te e per me.

(traduzione e altri approfondimenti qui.

lingue ancestrali

A Parigi è in corso una non tanto bella mostra dal bellissimo titolo e su un affascinante tema: Terre natale. Ailleurs commence ici (Terra natale. L’altrove comincia qui). A cura del filosofo Paul Virilio e del fotografo Raymond Depardon.
Sono andata perché il decennale lavoro fotografico di Depardon sulla cultura rurale francese, sui paysans, mi affascina molto, e ha creato aspettative che sono state abbondantemente deluse.
La precedente mostra di Virilio, sempre alla Fondazione Cartier nel 2003, era stata un’esperienza significativa, nulla a che fare con questa seconda.
Terre natale si articola su tre lavori, due di Depardon –Donner la parole e Tour du monde en 14 jours – e uno di Virilio insieme a un collettivo di artisti. Parlo solo di Depardon, che è quello che mi ha irritato di più, sperando di ricordare le parole adatte a descrivere il mio disappunto. In Donner la parole Depardon ha costruito una serie di video dedicati a lingue in via di scomparsa, a causa della progressiva scomparsa dei popoli in cui sono incarnate: lingua quecha e mapuche degli indios del contintente sudamericano, ma anche lo stesso patois del sud della Francia. L’idea mi pareva fantastica – il tema sarebbe il radicamento nella lingua -, ma ne risulta uno sguardo osceno su mondi in via di scomparsa. Resta il valore delle parole (comprensibili dai sottotitoli) degli indios, dei contadini, degli isolani, che ci fanno capire come queste lingue ancestrali radicate alla terra non siano solo un patrimonio folclorico, ma un patrimonio di significati, sono le parole di un senso della vita che non si può esprimere altrimenti. E che scomparirà con i loro ultimi parlanti.

oggetti del mito

Il feticcio, nella sua accezione originaria, era un oggetto indigeno che inspiegabilmente non poteva essere scambiato. Non poteva essere alienato, non poteva essere ceduto ai mercanti portoghesi che arrivavano sulle coste africane agli albori dell’età moderna.
Difficile oggi raccontare queste storie, così lontane seppur ancora vicine. Difficile spiegare cos’è l’etnocentrismo, di cui crediamo di esserci liberati. Difficile raccontare oggetti e terre (e uomini) costruiti dal mito.
Per questi motivi, e tanti altri, ho fatto vedere ai miei studenti un brano di questo fantastico film.
Questo è il posto dove sognano le formiche verdi, che si ostinano a sognare proprio lì.

(continua…)

“C’è un modo migliore di fare le cose

Alcune di noi lo ricordano”. Così Anne Cameron, in apertura del suo libro Le figlie della donna di rame.
Mi è tornata in mente questa frase – e il suo significato – dopo aver letto del primo summit internazionale delle popolazioni indigene che si è tenuto nella sfortunata isola di Hokkaido, nel nord del Giappone. C’è un modo migliore di fare le cose, mi pare cerchino di dire al mondo le popolazioni indigene raccolte a Hokkaido, ospitati dalla popolazione locale Ainu. Voi ve lo siete dimenticati, noi ce lo ricordiamo, se solo voleste ascoltarci ve lo potremmo insegnare. Rapporto con la natura, con le risorse ambientali come si dice nel mondo occidentale, rapporto con i consumi.
Ne scrive Leonardo Pellegatta su Alias del 30 agosto. Vorrebbe essere il primo di una serie di post sul tema c’è un modo migliore di fare le cose. Così, per iniziare meglio di come si è conclusa la parte precedente della storia.
Bentornati.

Feste de l’Unità addio? La parola ai lettori

L’Unità, dopo aver lanciato il sasso del probabile abbandono del nome “Festa dell’Unità” per la prossima festa nazionale del Partito Democratico, ha aperto sul suo sito uno spazio in cui i lettori possono esprimersi su questa scelta, che appare ormai definitiva.
Cosa pensate, che sia un tema di interesse per i lettori dell’Unità o semplicemente per i frequentatori del sito? Sappiate solo che il primo commento è arrivato alle 15,30 di oggi, e dopo sole sei ore e mezza i commenti riempono 42 pagine (ca 5 per pagina fanno oltre 200 commenti in poco più di 6 ore)!
Vi consiglio di leggerli, un intero popolo fa emergere i suoi sentimenti, la sua delusione, la rabbia, ma anche il desiderio di riappropriarsi della propria storia (attenzione: non del proprio passato), sentimenti che prevalgono in mezzo ai rari commenti favorevoli alla scelta.

Mmm, e noi non facciamo nulla per loro? 😉

Aggiornamento 28 maggio ore 13: i commenti da ieri sera sono raddoppiati, ora sono ben 425 commenti, e suppongo che continueranno a crescere… chissà se produrrà qualche effetto

Aggiornamento bis: non ho resistito, ecco il mio commento: I nomi sono cose serie. Trovo poco nobile, e poco onesto, bollare come nostalgico chi resta legato al nome Festa dell’Unità. Le feste sono una lezione di partecipazione e di cultura politica che ci serve per il futuro, non una tradizione folcloristica di un passato finito. Se non lo capite, lasciate le feste dell’Unità a chi se le merita. In Emilia ci sono ancora. Roberta Bartoletti

Aggiornamento ore 19: i commenti sono già 720, 144 pagine.
Aggiornamento 31 maggio ore 22: i commenti sono ormai 1500, millecinquecento!!!.

maglietta rossa la trionferà

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non è né una minaccia né una previsione politica. è l’inno* della squadra di rugby di Treviso, Tarvisium 69, con cui Marco Paolini apre il suo documentario sul rugby. Inno che, al di là della politica, tutti hanno cantato da quando la squadra è nata, nel lontano 1969. Perché, dice Paolini, “il rugby è più forte della politica”. Uno sport che può piacere se ami la terra, perchè ti ci trovi spesso a contatto, dice una giocatrice di rugby a Paolini. Programma strano, inedito, la cui visione consiglio vivamente. In diretta, visto che è proprio ora su la7. Della serie la tv può essere anche questo.

*Dimenticavo: la musica è ovviamente quella che immaginate.

gli antenati di Zapatero

Mentre in Italia alcuni nipoti si dimenticano delle gesta dei loro antenati, Zapatero onora il ricordo di suo nonno, e delle decine, migliaia di repubblicani che hanno lottato nella guerra civile spagnola, e che sono stati perseguitati nei 36 anni della dittatura di Franco.

Del mio unico viaggio nella capitale spagnola, Madrid, il principale ricordo che mi sono portata a casa è quello di aver visitato un paese che sembrava rimasto ibernato all’epoca della guerra contro l’invasione Napoleonica. All’epoca, per intenderci, rappresentata dal celebre quadro di Goya, conservato al Prado. Vedere quel quadro, nel principale museo di Madrid, e uscire nella città, nelle sue strade, nelle sue piazze, era un’esperienza senza soluzione di continuità (non fosse stato per i negozi, gli aperitivi e le strade commerciali). La città tutta unita ricordava la fiera resistenza contro Napoleone, nei monumenti e nei nomi della città. Non un unico riferimento alla guerra civile, la guerra fratricida, la guerra del Novecento che ha portato la Spagna al centro del mondo, che ha portato in Spagna non so quanti volontari, dall’Italia, dalla Francia, fin dal nuovo continente. Anche per questo motivo, lo confesso, Madrid non mi è piaciuta per niente.

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E’ quindi (anche per me) una vera notizia l’approvazione da parte del parlamento spagnolo di una legge che originariamente era chiamata Ley de la Memoria Historica, e che nel travagliato percorso verso l’approvazione si è trasformata nella “Legge attraverso la quale si riconoscono e si ampliano diritti e si stabiliscono misure in favore di coloro che soffrirono persecuzione o violenza durante la guerra civile e la dittatura”. Non è una legge straordinaria, lamentano le associazioni che da sempre di queste vittime e di quei crimini si sono occupati, cercando invano giustizia. Ma è sempre meglio del silenzio che ha fatto parlare, per la Spagna, di un pacto del silencio, e di un pacto del olvido. Oggi, quindi, non è più possibile semplicemente dimenticare.
Rimando al bell’articolo di Maurizio Matteuzzi, che ricorda tra gli altri le parole della scrittrice Almudena Grandes:

“Uno dei più grandi crimini del franchismo è aver provocato uno strappo brutale nella memoria, aver fatto sì che noi nipoti non sapessimo nulla o non potessimo più credere alla vita dei nostri nonni”.

Viva la Spagna, viva Zapatero.

memorie confuse (lasciamo libero il 25 aprile)

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C’è stato un periodo in cui il 25 aprile – il giorno dedicato al ricordo della Liberazione dal nazifascismo in Italia – è stato messo in discussione: una memoria contesa, dove un evento che qualcuno (tanti) ritengono fondante la Repubblica veniva messo in discussione. No comment. Della serie i revisionismi (questi sì, beceri) sono sempre dietro l’angolo.

Ricordo di una manifestazione a Milano, il 25 aprile, sotto una pioggia battente che mise ko la mia vecchia Nikon. Ricordo di un altro 25 aprile, passato a passeggiare con un gruppo ristretto di ex partigiani sotto le lapidi dei loro compagni uccisi lungo la via Frassinago, camminando e sostando.

Quando ho letto che Beppe Grillo per il secondo V-Day ha scelto il 25 aprile, mi sono veramente irritata. Non ci bastavano i tentati revisionismi, le memorie contese. Adesso dobbiamo fare pure i conti con le memorie confuse. Confondere questa classe/casta politica con i fascisti e i nazisti che hanno devastato l’Europa tra gli anni venti e quaranta del Novecento, mi pare sciocco, superficiale, ridicolo, grottesco, oppure criminale. Lasciate in pace la Resistenza, per piacere. Scegliete un altro giorno per una protesta che ha tutti i diritti di avere uno spazio, un luogo: il suo. Non quello del 25 aprile, giornata per ricordare la liberazione dal nazifascismo in Italia, e tutte le vite che per essa sono andate perdute.

giornata della memoria

Che dire. Se l’invenzione della giornata della memoria serve a far fare gite scolastiche ad Auschwitz, ben venga. Ma a parte ciò, che dipende poi dalla buona volontà degli insegnanti, non mi pare sia una grande idea. Un’altra festa, insomma. No comment.

Oggi ero nei boschi intorno a Bologna, e Marco ci ha fatto scoprire tutte le trincee che avevano scavato i tedeschi durante la lunga permanenza del fronte in Appennino, prima della liberazione dell’aprile 1945. Ecco il mio post per la giornata della memoria.

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trincee tedesche su Monte Mario


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