Non è solo un’ondata nostalgica ad attraversare l’Europa dell’Est (o almeno alcuni suoi territori: ne ho già parlato qui). Nelle ultime settimane si è assistito a una vera e propria guerra della memoria, con morti (almeno uno) e feriti veri, autentici, non solo metaforici. E’ della fine di aprile la notizia della rimozione dalla sua sede storica del Liberatore, il monumento a memoria dei 50.000 (cinquantamila) soldati sovietici morti nella liberazione dell’Estonia dall’occupazione nazista, che per l’Estonia contemporanea si è tramutato in un simbolo di una successiva occupazione, quella sovietica, cessata solo con l’Indipendenza ottenuta all’inizio degli anni Novanta (grazie alla dissoluzione dell’Urss). La statua di bronzo di due metri d’altezza che da sessant’anni vegliava sulla capitale estone dalla collina di Tonismagi è stata spostata in un periferico cimitero militare insieme alle 13 salme di soldati sovietici che vi riposavano accanto.

L’Unione Sovietica è il paese che ha sacrificato il maggior numero di soldati nella seconda guerra mondiale, con i suoi 8.860.400 caduti (8 milioni e 800mila e 400) – come si legge qui.
Di questi, ben 600.000 sono morti combattendo contro la Wehrmacht in Polonia tra il 1944 e il 1945, e lì oggi sono sepolti. E, dopo l’Estonia, è oggi la Polonia che cerca di sbarazzarsi del ricordo di quei morti, e di traslocarli anch’essi altrove. Due progetti di legge, uno del ministero della cultura (?) e uno del partito governativo, convergono sulla decisione di rimuovere i momumenti dedicati all’Armata Rossa eretti tra il 1949 e il 1989 sul territorio polacco. Il trasloco forzato avverrà tra poche settimane, vedremo se vi saranno reazioni (dubito) della popolazione.
Cosa andranno a visitare i turisti che si recano a Tallin o nelle città polacche, al posto di questi monumenti ormai storici? (continua…)
PS: il punto è che, mentre apparentemente si spostano statue, si riscrive la storia. E non solo quella polacca, o estone.
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