Archivio per Maggio 2007

cose marziane

Sarà colpa delle mail intergalattiche o del mio server, ma solo oggi mi è finalmente giunta questa fantastica torta di compleanno, credo direttamente da Marte. o dal Messico. o da Mezzocorona. comunque spaziale. grazie a PZ.
(un solo dubbio: sarà ancora commestibile? lo sarà mai stata?)

torta_marziana.gif
(per altre torte rimando al post del 3 aprile e all’album fotografico)

blogging for women. l’altro lato della pertinenza?

Sono andata al FemCamp che si è tenuto ieri a Bologna con un pregiudizio, o meglio un sospetto: che si potesse trovare qualche specificità nei blog delle donne, nei blogger/donna. Sono andata per sentire se quest’idea è condivisa, se ha un qualche fondamento, o se è un mio delirio. Anche per imparare qualche trucco tecnico per migliorare il blog, e fare invidia ai colleghi maschi assenti :-).
Per questo mi sono fidata doppiamente del consiglio di Feba e sono andata a sentire la presentazione di Andrea Beggi, dal titolo promettente “Blogging for Ladies: (quasi) tutto quello che una donna avrebbe voluto sapere sui blog e non ha mai pensato di chiedere. Come utilizzare meglio dei maschiacci tutte quelle robe dai nomi strani”. (Aggiornamento: la presentazione di Andrea è stata poi postata qui).
Andrea è partito da un dato oggettivo, che le donne sono marginali nelle classifiche dei blogger, e da un’ipotesi, che questo possa dipendere da una loro (“nostra”) relativa mancanza di strategia e tecnica nel rendersi “visibili”. Da questa doppia considerazione ci ha garbatamente proposto una serie di consigli molto utili, sicuramente.

515018613_ae7613a043_t.jpg
sempre da flickr

e idem

Primo dubbio (che ho condiviso durante la relazione con miei vicini di sedia nonché colleghi, Fabio e Giulia): non sono consigli che valgono specificamente per le donne, sono consigli universalmente sensati e utili ai blogger (tra cui: evitate i refusi, rileggete prima di pubblicare – non dico a chi ho pensato, dico solo che è un acronimo di tre lettere, e sta nel mio blogroll e purtroppo è maschio). Dov’è la specificità del blogger/donna, solo in una relativamente maggiore inesperienza?
Secondo dubbio: posto che le donne siano effettivamente marginali nella blogosfera per una loro carenza nel rendersi visibili – partecipano poco dove occorre, non sfruttano al meglio tutti gli strumenti che il web 2.0 mette a disposizione ecc. -, chi ci dice che la visibilità, l’esposizione a tutti i costi siano L’Obiettivo del blogger, e non invece uno dei possibili obiettivi, sicuramente quello dominante, ma non l’unico?
Il mio sospetto è che la blogosfera come ambiente (in autonomia dagli stessi singoli blogger che la animano, maschi o femmine che siano) sia dominata da una logica quantitativa (che è poi la logica della comunicazione) – quantità di contatti, quantità di presenze, quantità di informazioni … – e non qualitativa; è in altre parole informata da una logica espansiva, o estensiva, che mi pare abbastanza omologa a quella del mercato. Da esperti come Andrea, o altri che non conosco ma che vorrei conoscere, posso allora sperare che arrivino consigli per migliorare strategie e tecniche per un blogging meno interessato a rendersi visibile a chiunque a tutti i costi, magari più interessato a trovare e selezionare fonti di informazione di qualità, strumenti di gestione di archivi di dati e immagini pertinenti al progetto su cui spesso un blog nasce, a trovare contatti pertinenti con la propria missione. Chissà se mi sono spiegata. Ringrazio Andrea, che a seguito di questa sollecitazione mi ha dato consigli su come bere dall’idrante senza affogare…

PS: Direi che questo è il secondo dei due post promessi sulle conversazioni dal basso, che ruotano intorno all’idea di pertinenza, di cui ho parlato qui e qui. La logica dominante della blogosfera, della visibilità e dell’esposizione estensiva alla comunicazione, mi pare cozzare con le pretese qualitative del concetto di pertinenza. (Per chi mi conosce: si capisce, spero, cosa c’entra tutto ciò con la memoria).

donne o blogger?

Oggi (pomeriggio) sono stata qui, con giulia, fabio, luca (tutti nel mio blogroll, assolutamente privo di cadaveri) e diversi studenti del lab web 2.0 di fabio. Qualche riflessione su donne e blog ne è venuta fuori, e ne parlerò poi (domani?).

fem-camp_hexholden.gif
da flickr

Pol-stalgia? Cantieri di memoria

L’Est Europa ci appare oggi come un grande cantiere della memoria, sia collettiva che individuale, a causa dei cambiamenti radicali e a volte improvvisi che hanno caratterizzato la sua storia recente: la dissoluzione del blocco di influenza sovietica in Europa, la caduta del muro di Berlino, la ridefinizione dei confini e delle identità. Questi cambiamenti, specifici di quel pezzo di mondo vicino, si innescano su cambiamenti più vasti, sulla dissoluzione di altre identità, di altre memorie.
Di fronte ai cancelli dei cantieri navali di Danzica c’è una lapide. Non a memoria di qualche morto, per una volta. La scritta “21 x Tak! – Solidarnosc” (in polacco significa “21 Sì! – Solidarietà”) è lì a ricordo delle 21 rivendicazioni sindacali avanzate nel 1980 dagli operai guidati da Lech Walesa e di seguito accolte dal governo polacco, dopo lo sciopero a oltranza iniziato il 31 agosto dello stesso anno che per settimane aveva paralizzato la città. L’eredità lasciata da quel movimento dei lavoratori alla Polonia e ai polacchi di oggi è abbastanza incerta.
I gemelli che governano oggi il paese (presidente e capo del governo) sembrano piuttosto preoccupati di completare progetti di epurazione (aspramente criticati dagli stessi antichi esponenti di Solidarnosc e avversari del precedente regime), e di come rendere pubblici gli archivi della polizia segreta “comunista” custoditi dall’Istituto della memoria di Varsavia.

katarszyna_wikimedia.jpg

In questo clima forse non interessa granchè dell’eredità di Solidarnosc, non interessa alla politica o allo Stato. Interessa, pare, ai giovani, a qualche studente, come a quel Lucas, 22 studente di scienze politiche, intervistato da Mauro Caterina, che afferma che per lui e per quelli della sua generazione Walesa e Solidarnosc rappresentano dei miti. I suoi ricordi di Solidarnosc sono quelli studiati sui libri di storia e raccontati dai genitori. Mentre ai cantieri navali di Danzica la memoria di Solidarnosc pare affidata a una lapide: forse perchè dei 9 mila lavoratori che popolavano i cantieri negli anni Ottanta, oggi appena 2 mila sono sopravvissuti alle ristrutturazioni industriali?

Siempre presentes (architetture della memoria)

Non lo nascondo. Temevo che l’Argentina contemporanea avesse deciso di andare avanti, e di cancellare un passato molto doloroso. A volte dimenticare serve a sopravvivere. Non nascondo che questo idea non mi piaceva, mi addolorava. Sono ben felice di trovare segnali che vanno in altra direzione.
Grazie alle testimonianze di un caro amico che sta lavorando a Buenos Aires (e che mi ha donato la foto qui sotto) posso immaginarmi Buenos Aires come città che ricorda, città della memoria. Lungo il fiume la città sta realizzando un “parco della memoria” che sarà completato l’anno prossimo e che ospita artisti internazionali, mentre tracce del ricordo della dittatura e dei suoi crimini sono sparsi ovunque. Particolarmente toccante mi pare la scelta della Facoltà di architettura di far vegliare sui tavolini e le chiaccherate del suo bar i volti e i nomi degli oltre cento studenti, laureati e docenti “detenuti-scomparsi e uccisi dal terrorismo di stato”. Così, tra i vivi, sempre presenti.

bar-v.gif
foto di of

Una nota: la bandiera è stata realizzata tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006 (in vista del trentennale del golpe del 24 marzo 1976) a seguito di un concorso, a sostituzione di quella realizzata collettivamente e artigianalmente e che occupò quello stesso luogo per più di venti anni, leggo su un blog dedicato al progetto.

turisti smemorati? ricostruzioni a Est

Se i turisti che scelgono come meta le Repubbliche Baltiche dovranno depennare dai loro itinerari i monumenti dei vari liberatori sovietici, altre cose da vedere sono state preparate per loro, a sostituzione di quei simboli caduti in disgrazia. In questi paesi (Lituania, Estonia e Lettonia), così come in altri paesi dell’Est (Ungheria, Polonia, Bulgaria, Romania, ex Cecoslovacchia), dall’inizio degli anni Novanta sono infatti proliferati musei dedicati all’occupazione sovietica, come ci ricorda la giornalista Lucia Sgueglia.
I musei, si sa, sono importanti luoghi di memoria. Luoghi in cui la decisione di cosa ricordare (e cosa dimenticare) si prende consapevolmente. Una vera e propria politica della memoria. E si decide anche il significato di quello che si ricorda (o almeno ci si prova). Così lo sfratto del soldato liberatore dal centro della capitale estone era probabilmente già stato annunciato nel 2003, con l’apertura del museo dell’Occupazione. Il museo di Tallin si contraddistingue per l’equiparazione di nazismo e comunismo e, pur dichiarandosi dedicato ai totalitarismi, il suo focus è sostanzialmente sull’occupazione sovietica successiva alla seconda guerra mondiale.

liberatore2.gif

Non è da meno la romantica Vilnius, dove è possibile visitare il Museo delle vittime del Genocidio. Il museo non è dedicato all’Olocausto, anche se potrebbe benissimo esserlo, visto che Vilnius era altrimenti nota come Gerusalemme dell’Est, e sono stati duecentomila gli ebrei lituani uccisi durante l’occupazione nazista tra il 1941 al 1944. Il museo del genocidio è invece anch’esso dedicato all’occupazione sovietica: nelle guide turistiche di Vilnius figura infatti anche come “museo del Kgb”. Già fondato nel 1992 con fondi Usa, il successo di pubblico arriva nel 2004, dopo l’ingresso della Lituania nell’Unione Europea.
In questi musei si costruisce (ricostruisce) la memoria nazionale e l’identità di queste nuove repubbliche, e sembrano riaffiorare vecchi problemi di rimozione, di amnesia strutturale. Dettagli che è meglio dimenticare (tipo i 200.000 ebrei lituani scomparsi). In questi luoghi sicuramente non si prova tanta Ostalgia.
Speriamo solo che i visitatori di questi musei non siano troppo ingenui.

memorie argentine

Memorie, non solo di madri (di quelle della piazza di Mayo). Un amico mi segnala questa mostra in corso a Buenos Aires dedicata alle isole Malvinas dal titolo “malvinas isla de la memorias”, che raccoglie una serie di reperti dei militari della recente guerra che ha avuto per oggetto le isole al largo della costa argentina e un’installazione di croci a ricordare i morti.

ritratto.jpg
foto di Oscar Ferrari

Mentre a Roma si ricordano i luoghi dei desaparecidos, nella capitale argentina si ricordano altre scomparse, si costruiscono altri luoghi della memoria. Sarà questo il volto della nuova Argentina (se i caratteri del presente e del futuro si intuiscono dalla memoria del passato)?

la guerra della memoria/sfratti e traslochi a Est

Non è solo un’ondata nostalgica ad attraversare l’Europa dell’Est (o almeno alcuni suoi territori: ne ho già parlato qui). Nelle ultime settimane si è assistito a una vera e propria guerra della memoria, con morti (almeno uno) e feriti veri, autentici, non solo metaforici. E’ della fine di aprile la notizia della rimozione dalla sua sede storica del Liberatore, il monumento a memoria dei 50.000 (cinquantamila) soldati sovietici morti nella liberazione dell’Estonia dall’occupazione nazista, che per l’Estonia contemporanea si è tramutato in un simbolo di una successiva occupazione, quella sovietica, cessata solo con l’Indipendenza ottenuta all’inizio degli anni Novanta (grazie alla dissoluzione dell’Urss). La statua di bronzo di due metri d’altezza che da sessant’anni vegliava sulla capitale estone dalla collina di Tonismagi è stata spostata in un periferico cimitero militare insieme alle 13 salme di soldati sovietici che vi riposavano accanto.

liberatore.gif

L’Unione Sovietica è il paese che ha sacrificato il maggior numero di soldati nella seconda guerra mondiale, con i suoi 8.860.400 caduti (8 milioni e 800mila e 400) – come si legge qui.
Di questi, ben 600.000 sono morti combattendo contro la Wehrmacht in Polonia tra il 1944 e il 1945, e lì oggi sono sepolti. E, dopo l’Estonia, è oggi la Polonia che cerca di sbarazzarsi del ricordo di quei morti, e di traslocarli anch’essi altrove. Due progetti di legge, uno del ministero della cultura (?) e uno del partito governativo, convergono sulla decisione di rimuovere i momumenti dedicati all’Armata Rossa eretti tra il 1949 e il 1989 sul territorio polacco. Il trasloco forzato avverrà tra poche settimane, vedremo se vi saranno reazioni (dubito) della popolazione.
Cosa andranno a visitare i turisti che si recano a Tallin o nelle città polacche, al posto di questi monumenti ormai storici? (continua…)

PS: il punto è che, mentre apparentemente si spostano statue, si riscrive la storia. E non solo quella polacca, o estone.

ricordando le madri/Buenos Aires

Così oggi (ieri, giovedì 10 maggio) sono ricordate le madri dei desaparecidos nella Plaza de Mayo, di cui ho parlato qui. Chissà da quando ci sono queste tracce a memoria sul selciato?

plaza_de_mayo.gif una cartolina dalla serie vedutedabuenosaires

museo della memoria: bologna ricorda ustica

Inaugurerà il 27 giugno (2007) a Bologna, il museo della memoria – dell’abbattimento del Dc9 di Ustica e dei suoi passeggeri, avvenuto 27 anni fa. L’allestimento del museo, voluto dall’associazione dei familiari delle vittime, è stato affidato a un artista legato da sempre al tema della memoria, Christian Boltanski.

070208repubblicaboltanski.gif

Un museo per ricordare, non un memoriale per dimenticare, chiarisce l’artista nell’intervista di Brunella Torresin pubblicata ieri su La Repubblica: “Non credo ai memoriali. Occorre che questo museo diventi un luogo di ricerca, o tra 10 anni nessuno ricorderà più la tragedia del Dc9. Chi mai legge i nomi incisi sulle lapidi dei monumenti? I monumenti spesso sono fatti per dimenticare, e non per ricordare. Io ne ho fatti pochi. Me ne hanno chiesto uno per il Museé d’art et d’histoire du Judaisme, di Parigi, che sorge in un antico palazzo del Marais, un tempo dimora di famiglie ebree. Ho voluto ricordare i nomi di coloro che vi abitarono e furono deportati. ma non li ho voluti scolpire nel marmo, li ho voluti scrivere sulla carta. Quelle lapidi di carta vanno continuamente sostituite; e, ogni volta, è come rinnovare una preghiera. Così dovrebbe essere per il Museo della Memoria di Bologna: un monumento continuamente riallestito, un luogo dove si rinnovi continuamente una preghiera”.


Aggiornamento

Ecco il link diretto al sito del Museo, per chi desiderasse saperne di più sulle iniziative (una rassegna estiva di teatro e musica) e visitare il museo.

memorie partigiane

La memoria è di parte, si sa. E’ una struttura che seleziona tra cose da ricordare e cose da dimenticare. Lo fanno gli individui, lo fanno le società. Più o meno consciamente, conservano e cancellano. La memoria è una proprietà del sistema (sistema vivente, sistema sociale, …).
La memoria è una struttura di senso.

Vi racconto una storia: nei giorni dell’insurrezione armata contro i tedeschi che occupavano le campagne intorno a Bologna, un vecchio casone di caccia nelle valli non ancora bonificate servì da punto di rifugio e poi di raccolta nei giorni di aprile che precedettero la liberazione della città e le ultime battaglie (tra cui quella del 22 aprile nelle campagne di San Pietro). Dopo la guerra, il casone crollò. Verso gli anni Settanta, i partigiani del luogo promuovono la ricostruzione del casone, e la notte dell’8 settembre 1981 il loro lavoro rischia di sfumare per un tentativo di incendio doloso. Ricordare e dimenticare. Oggi il Casone Partigiano è un luogo di memoria, della Resistenza e della lotta di liberazione. Eccolo, ancora mimetizzato tra le fronde. L’abbiamo scoperto per caso, di ritorno dalla mostra di Daniele.

casone_partigiano.gif
il Casone Partigiano

Corpi liquidi (pillole per dimenticare/2)

Qualche tempo fa Giulia mi ha raccontato di una pillola che elimina il ciclo mestruale, questa notizia mi è rimasta in un angolo della mente, ha sedimentato, in attesa di trovare connessioni, senso. Così la settimana scorsa questa notizia si è rimessa in moto in connessione con un racconto sulla mitologia femminile. Con una serie di racconti di donne sulle donne.
Il racconto (innescato da Lorenzo) che ha richiamato gli altri è quello dell’archeologa e mitologa Marija Gimbutas, che ha trovato le tracce del mito della grande madre nei suoi scavi sul Neolitico nell’Europa Antica (7000-3000 a.C.). Quello della grande madre è un racconto di nascita, morte e rigenerazione, strettamente legato alla terra.
Mi sono allora ricordata che Anne Cameron, superstite della tribu degli indiani Nootka del Canada, racconta che le donne durante il ciclo mestruale facevano festa per quattro giorni: si allontanavano dal villaggio e si recavano in un luogo sacro, si sedevano sulla terra, che si nutriva del loro sangue. Restituivano il sangue alla terra. Terra e sangue sembrano molto legati, così come sia la terra sia il sangue sembrano legati alla vita. Il periodo del ciclo mestruale era chiamato il tempo della luna.
Questi racconti femminili antichi sono, credo, molto attuali. Attuali e contemporaneamente molto in contrasto con il presente. Parlano di un tempo ciclico, che è soprattuto un tempo qualitativo, intriso di qualità. Parlano di qualità e di valore d’uso: del tempo, della terra, del corpo e dei suoi flussi. In questo caso, del corpo femminile e dei suoi flussi così palesi, difficilmente celabili, difficilmente dimenticabili.
Ma questo solo finchè arriva una pillola che consente di cancellare il ciclo, di ristabilire un ordine indistinto del tempo. Nessun ciclo: un tempo liquido, senza discontinuità, senza rimandi alla qualità del corpo e dei suoi flussi vitali. (ma la liquidità non era una peculiarità del denaro?)
Credo che non dovrebbero preoccuparsene solo le femministe. Fossi in voi me ne preoccuperei, uomo o donna che siate. Del problema se ne occupa fra gli altri Giovanna Chesler, docente di cinema alla University of California di San Diego, con il suo documentario, «Period: the end of menstruation?».
homepagetitle.jpg


DasBuch

Flickr Photos

Creative Commons License
Immagini e testi in questo blog, ove non specificato diversamente, sono pubblicati sotto una Licenza Creative Commons